Debito emergente, il “dodo” del reddito fisso?

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In un mondo in cui le obbligazioni governative sono ormai sempre più spesso in territorio negativo, una classe del debito sovrano continua a offrire rendimenti che spiccano su tutti gli altri: il debito dei mercati emergenti. Non si tratta certo di un segreto, tanto che l’obbligazionario EM in valuta locale ha registrato flussi in entrata tali da spingere il JP Morgan GBI-EM Broad Diversified Index al 5,4%, a 10 punti base dal minimo assoluto registrato appena prima del “taper tantrum” del 2013. Il debito emergente è quindi il dodo del reddito fisso? Una specie rara che verrà cacciata fino all’estinzione nei prossimi cinque anni, destinata a unirsi al debito governativo a rendimenti negativi delle economie sviluppate? È altamente improbabile.

Questo, se da un lato è confortante, dall’altro è causa di preoccupazione: è confortante perché i rendimenti del debito emergente potrebbero rimanere interessanti più a lungo se confrontati con quelli delle economie sviluppate; è preoccupante perché gli investitori del debito emergente potrebbero trovarsi a raccogliere questi differenziali di rendimento positivi senza rendersi conto di essere esposti a degli enormi rischi.

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Chi investe nel reddito fisso con un’ottica di lungo termine dovrebbe aspettarsi di essere ricompensato per i rischi dei tassi di interesse, dell’inflazione, della crescita e di default. Il debito emergente in valuta locale, inoltre, presenta significativi rischi di valuta. Il rischio di un deprezzamento della valuta dovrebbe tradursi in rendimenti più elevati rispetto al resto del mondo, dato che è storicamente dimostrato che i differenziali positivi del carry possono essere facilmente erosi dalle fluttuazioni delle divise dei mercati emergenti, causando perdite a chi investe in valuta locale.

Un outlook dedicato al debito emergente non può quindi prescindere da uno studio delle prospettive a cinque anni delle valute dei mercati stessi. In un mondo ideale sarebbe sufficiente guardare alle valutazioni attuali delle divise del debito emergente analizzandone lo scostamento dal trend di lungo periodo a parità di potere d’acquisto reale. Le valute dovrebbero riflettere le differenze di inflazione, ma alla realtà dei fatti questa regola non viene rispettata e i movimenti delle diverse monete spesso superano questi differenziali, tanto verso l’alto quanto verso il basso, con i tassi di cambio reali che quindi variano nel corso del tempo. Le valute che si sono discostate dal corrispondente differenziale legato all’inflazione spesso correggono questa differenza di prezzo su un orizzonte di cinque anni. Attualmente il tasso di cambio reale delle prime dieci economie emergenti per volumi di emissioni obbligazionarie, aggiustato per il peso dei diversi paesi, è del 7,7% al di sotto del valore teorico. Questo suggerisce che, ipoteticamente, un investimento nel debito emergente dovrebbe beneficiare, per i prossimi cinque anni, di un apprezzamento delle valute pari a circa l’1,5% l’anno rispetto al dollaro

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Questo in teoria, la realtà è tuttavia meno entusiasmante. Nel nostro scenario di base, ci aspettiamo che inizialmente il sentiment globale sarà positivo grazie alle negoziazioni tra USA e Cina dopo che entrambe hanno sofferto a causa dei dazi. Non si è tuttavia arrivati a una tregua definita né al grande accordo in cui sperava Trump; piuttosto, le relazioni tra Washington e Pechino possono essere paragonate a un vulcano dormiente. Lo stimolo cinese andrà a beneficio delle importazioni, e indirettamente i fornitori dei mercati emergenti e le loro valute. Tuttavia, considerata la battaglia per l’egemonia mondiale tra Cina e USA e le possibili ripercussioni per le economie basate sul commercio internazionale, il mercato continuerà a richiedere un certo premio per il rischio per investire nelle valute dei mercati emergenti. Questo significa che, in realtà, non è assolutamente sicuro che l’attuale sconto del 7,7% sulla base della parità di potere d’acquisto che caraterizza le valute dei mercati emergenti verrà completamente superato nei prossimi cinque anni, soprattutto visto che ci aspettiamo una recessione globale che interesserà anche gli emergenti. Quando i tempi si fanno difficili il dollaro solitamente si rafforza dato che gli investitori cercano una valuta sicura per rifugiarsi e le economie in via di sviluppo si ribilanciano lasciando muovere verso il basso le proprie monete. Gli apprezzamenti dei tassi di interesse reali riflettono anche la crescita della produttività che insegue i livelli delle economie sviluppate. Considerato che il protezionismo che aleggia sul mondo probabilmente rallenterà gli spillover tecnologici che migliorano la produttività, un marcato apprezzamento reale delle valute dei mercati emergenti sembra difficile. Il FMI, inoltre, prevede che la bilancia delle partite correnti sarà in negativo per i mercati emergenti nei prossimi cinque anni, un’ulteriore ragione che ci porta ad essere cauti nell’ipotizzare un apprezzamento significativo delle valute emergenti, tanto in termini nominali quanto in termini reali.

Il debito emergente in valuta locale, tuttavia, è un universo estremamante eterogeneo. Per valutare la capacità di far fronte agli impegni presi dei diversi paesi abbiamo confrontato le previsioni del FMI per il periodo 2020-2024 dell’indebitamento/prestito netto dei governi rispetto all’avanzo/disavanzo esterno. La Russia dovrebbe mantenere i conti in ordine, secondo il FMI, che prevede un avanzo positivo interno ed esterno. Turchia e Indonesia appaiono più vulnerabili al calo della fiducia che interesserà gli asset emergenti ad alto rendimento in un contesto di recessione globale, intorno al 2022. Gli investitori differenzieranno tra i mercati e la varietà di fondamentali macro si tradurrà in performance altalenanti lungo la strada. In generale, nel nostro scenario di base ci aspettiamo che il debito emergente in valuta locale renderà il  2,75% in euro e il 4% in dollari. Nel caso più ottimista vediamo margini  molto più ampi per l’apprezzamento delle valute dei mercati emergenti con una ripresa dei flussi commerciali globali, che potrebbero portare a rendimenti del 5,5% in euro e del 7% in dollari. Lo scenario più pessimista vede invece le divise degli emergenti scivolare molto più in basso, una crescita dei rischi di default e le economie in via di sviluppo più aperte pagare il prezzo più alto della rottura del commercio globale.