Coronavirus: quando un’epidemia virale diventa una pandemia di vendite

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COVID-19, cinque giorni: l’azionario globale è calato dell’11%. Questo è il modo in cui gli investitori ricorderanno il febbraio 2020.

Tutto è iniziato come in una favola caratterizzata da una crescita economica moderata, banche centrali accomodanti, tensioni commerciali che si allentavano e mercati in forte crescita, ma non era destinato a durare. Il mese si è concluso in modo davvero inaspettato e straordinario, con una violenta e ampia correzione che ha colto di sorpresa gli investitori: la più rapida correzione, superiore al 10% dal picco, di sempre. Per mettere le cose in prospettiva, la velocità del sell-off è stata superiore a quella del complesso scoppio della volatilità di febbraio 2018. È successo in un attimo, nel momento in cui è emerso improvvisamente il timore che l’epidemia di COVID-19 sarebbe diventata una pandemia e che, alla fine, avrebbe trascinato il mondo in recessione. Un bel rally ha finalmente incontrato la sua bestia nella forma e nelle vesti di un “virus coronato”.

Autopsia di un sell-off

La collera che ha colpito i mercati finanziari a febbraio è stata una tempesta perfetta senza posti in cui nascondersi: la diversificazione è stata solo di limitato aiuto e le correlazioni al ribasso sono confluite in una spirale discendente. Azioni, volatilità, materie prime e credito hanno visto una grande chiusura di posizioni, in quella che sarà ricordata come una delle correzioni più rapide della storia.

L’indice MSCI All-Countries World ha perso quasi l’11% rispetto al picco del 19 febbraio, mentre gli indici S&P 500, Eurostoxx 600 e MSCI Emerging Markets sono crollati rispettivamente del 12,7%, 13,3% e 8,8%. Tutti sono calati di circa 10 punti percentuali su base annua. La volatilità, misurata dall’indice VIX, è salita a quasi 50, livelli visti solo quattro volte dalla Grande Crisi Finanziaria: nel 2010, 2011, 2015 e, più recentemente, febbraio 2018. Gli spread creditizi, sensibili sia alla propensione al rischio che ai fondamentali economici, si sono ampliati in tutto lo spettro dell’investment grade (IG) e dell’high yield (HY). Il credito di maggiore qualità ha registrato picchi infragiornalieri degli spread che non si vedevano da settembre 2008, mentre per gli spread HY sono balzati di quasi 100pb in sei sessioni di trading. Nel frattempo, a causa della natura dello shock e dell’impatto sulla domanda, le materie prime energetiche sono state vendute, con un calo del 15% dal 19 febbraio. Sul fronte difensivo, i titoli di stato hanno deluso, non offrendo la necessaria protezione: il global government index di Barclays è salito solo dell’1,4% nel periodo. Il rendimento statunitense a 10 anni ha offerto una protezione discreta, scendendo di 40pb per raggiungere i minimi storici dell’1,15%, ma in altre regioni strumenti comparabili non hanno seguito il corso e i tassi d’interesse sui titoli sovrani decennali dei paesi G7 sono diminuiti solo di circa 20pb (o addirittura aumentati di 20pb nel caso dell’Italia, rendendo ancora più doloroso l’onere per chi detiene BTP). L’oro, dopo un rally iniziale del 6% verso i 1.700 dollari per oncia, un livello che non si vedeva dal 2012, ha perso tutto negli ultimi giorni del mese per chiudere a 1.585, scendendo di 100 dollari rispetto ai massimi.

COVID-19 ha colpito la maggior parte dei segmenti di mercato, rendendo inefficace la diversificazione e facendo convergere le correlazioni nei momenti peggiori.

L’impatto reale dell’epidemia sull’economia non è ancora stato valutato, e non è ancora chiaro se l’attuale prelievo sia l’inizio di un mercato ribassista più prolungato o rappresenti un nuovo insieme di opportunità derivanti da eccessi e sconvolgimenti.

Quando il panico colpisce, concentrati sul processo

Il nostro processo di allocazione dinamica si basa sulla triangolazione di fondamentali macro, sentiment di mercato e valutazioni degli asset. Alla luce dei recenti avvenimenti, come si sono evoluti e quali sono le implicazioni per il futuro?

Il sell-off è nato dalla combinazione di timori per la prevista crescita economica futura, valutazioni estreme e specifiche di mercato, come il peso di posizioni sistematiche e strategie passive sui mercati finanziari. Il numero di persone colpite dalla malattia è aumentato al di fuori dell’Asia, aumentando in modo significativo la possibilità di vedere lo stesso tipo di quarantena massiccia implementata in Cina e scuotendo gli investitori troppo compiacenti. In Europa e negli Stati Uniti, le grandi aziende hanno consigliato ai loro dipendenti di evitare di viaggiare per lavoro, le scuole hanno chiuso, gli hotel sono stati messi in quarantena e i summit sono stati cancellati in uno sforzo globale per fermare la propagazione.

Ma quanto può pesare questo blocco economico sulla crescita? Guardando la letteratura sull’epidemia, il modello standard dell’influenza assume che il 90% delle scuole chiuda (compliance rate) e che le famiglie impongano quarantene di due settimane nel 60% dei casi (compliance rate, in cui adulti e bambini non hanno contatti esterni). Questo è quanto è stato implementato in Cina nella regione più colpita. Utilizzare il Pil medio pro capite per due settimane ci permette di stimare l’impatto sul prodotto dei paesi. I risultati dei nostri calcoli basati su queste ipotesi mostrano che l’impatto sarebbe pari ad una crescita inferiore 2,3%. Questo lascerebbe la Cina con una crescita del 3% e gli Stati Uniti con un Pil atteso marginalmente negativo, mentre l’Europa sarebbe spinta in recessione, dato il suo minore tasso di crescita potenziale. I primi dati rilasciati dalla Cina nel fine settimana confermano questo calcolo: i dati PMI cinesi sono ai livelli più bassi mai registrati. L’indicatore del settore manifatturiero è sceso a 35, mentre i servizi sono scesi a 29, molto al di sotto dei livelli del 2008. Monitoreremo su base giornaliera l’impatto dei prossimi dati, tramite il nostro Growth Nowcaster, per determinare se l’impatto provocherà uno shock profondo e di lunga durata oppure un calo a breve termine.

Al momento, sulla base del nostro outlook, non rischiamo di assistere ad una grave recessione dovuta alla diffusione del virus, ma piuttosto ad un marcato rallentamento seguito da una ripresa.

Il sentiment ha guidato il mercato, diventando molto più ribassista. I deflussi dalle attività di rischio sono stati giganteschi, con almeno 20 miliardi di dollari USA ritirati dai fondi comuni di investimento azionari e dagli ETF in una settimana, oltre a 5 miliardi di dollari USA ritirati dai fondi di credito blockbuster. Il deleveraging sistematico si è fatto sentire quando la volatilità è esplosa: la propensione al rischio è passata dall’essere estremamente ottimista, alla disperazione fino al pessimismo estremo. A un certo punto, ci aspettiamo che gli investitori riescano a vedere attraverso questa infezione, mentre il suo impatto sulla popolazione mondiale verrà limitato dall’avvicinarsi dell’estate. Se le condizioni macro non peggiorano troppo, potremmo benissimo andare verso una situazione simile a quella vista alla fine dell’estate scorsa: valutazioni più economiche in un contesto macro molto migliore di quanto la maggior parte degli investitori si aspetterebbe.

Una parte importante per la stabilizzazione del sentiment dovrà venire dalle banche centrali: la settimana scorsa alcuni funzionari della Fed e della BCE si sono rivolti alla stampa con dichiarazioni variegate, cercando di rassicurare sul futuro percorso dell’attività economica e sulla loro intenzione di agire se necessario. Il presidente della Fed Jerome Powell è intervenuto venerdì, riconoscendo i “rischi in evoluzione” che il virus comporta per l’economia statunitense e di essere pronto ad “agire di conseguenza”. Le anticipazioni erano già ben presenti nei futures dei fondi Fed: già prezzavano più di un taglio dei tassi nella prossima riunione del FOMC di marzo, e quasi quattro in 12 mesi.

Infine, le valutazioni hanno registrato una correzione, soprattutto per quanto riguarda gli asset legati alla crescita. Le obbligazioni, invece, sono diventate più costose rappresentando, ancora una volta, l’asset più costoso del nostro universo d’investimento.

Asset allocation: finalmente prudente, alla ricerca di opportunità

La combinazione data dalle nostre view sistematiche e discrezionali sono confluite verso una posizione significativamente più difensiva. Attualmente sovrapesiamo l’obbligazionario, sottopesiamo fortemente il credito (sia IG che HY) e sottopesiamo le materie prime in generale. Completiamo queste coperture con un overweight più limitato nelle azioni, poiché consideriamo ancora la crescita come un fattore positivo andando oltre le prossime settimane, e ci aspettiamo che le banche centrali comincino a intervenire per domare la volatilità, ormai molto elevata. Se la crescita iniziasse ad essere a rischio, questo insieme equilibrato di over/underweight verrebbe rimescolato per riflettere una difensività ancora maggiore. Questo non è il nostro scenario di base per il momento, poiché ci aspettiamo un periodo di stabilizzazione nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. Queste modifiche alle nostre allocazioni di portafoglio dovrebbero aiutarci a navigare in acque agitate: abbiamo rapidamente implementato meccanismi di difesa per preservare il capitale nel caso in cui l’impatto negativo sulla crescita si rivelasse più prolungato di quanto inizialmente previsto. Quando i timori aumentano, processi di gestione del rischio consolidati consentono di prendere decisioni ordinate e di evitare il panico