Tre scenari per il reddito fisso

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Se guardiamo ai mercati globali del reddito fisso e consideriamo i tassi di credito e liquidità, il 2020 finora ha dimostrato perché si investe nel reddito fisso. Le obbligazioni USA a più lunga scadenza, ad esempio, hanno reso quasi il 30 per cento da inizio anno nonostante la recente volatilità e abbiamo assistito a cali paralleli dei rendimenti nelle curve governative, in particolare nei porti sicuri come gli Stati Uniti.

I tassi dei mercati emergenti hanno da poco iniziato a essere molto più volatili a causa della debolezza dei cambi degli emergenti unita alla minaccia che le banche centrali potrebbero avere bisogno di difendere le valute.

I mercati del credito hanno avuto un andamento molto simile a quello che ci si aspetterebbe in condizioni in cui aumenta l’avversione al rischio. E così, l’investment grade statunitense, ad esempio, ha visto gli spread creditizi ampliarsi di quasi 100 punti base; l’high yield statunitense ha registrato un ampliamento degli spread di poco più di 300 punti base.

Così, nelle ultime due settimane abbiamo visto il primo taglio dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve al di fuori dei meeting programmati in 11 anni, ovvero dalla crisi finanziaria globale. Tagli significativi sono stati annunciati anche da parte della Banca d’Inghilterra e naturalmente abbiamo avuto anche il recente incontro della BCE. Questi interventi vanno però collocati in una sorta di contesto ciclico, e la Fed ha effettivamente cambiato impostazione nel gennaio 2019. Ha dovuto tagliare i tassi tre volte ed è dovuta intervenire anche sui mercati monetari nel settembre 2019, a seguito delle sfide emerse in quel settore dell’idraulica finanziaria. Per noi si tratta di un ciclo di riduzione dei tassi d’interesse.

Ora, se ripercorriamo le ultime tre recessioni, secondo i criteri del National Bureau of Economic Research USA, la Federal Reserve ha operato tagli per 500-600 punti base, e durante il picco di espansione di questo ciclo ha rivisto al rialzo i tassi solo per il due e mezzo per cento. Quindi il grande interrogativo è: cosa ci aspetta? Ci sarà probabilmente il QE. Tuttavia, se volgiamo lo sguardo alle banche centrali, come ha avuto modo di illustrare la Banca d’Inghilterra, è in atto un cambiamento piuttosto interessante nelle modalità secondo cui gli istituti centrali stanno cercando di sostenere le aziende. Gran parte degli ultimi quattro anni si è concentrata sull’aiuto alle grandi aziende attraverso strumenti quali il QE delle obbligazioni societarie. E anche se abbiamo già avuto finanziamenti per programmi di prestito prima di allora, l’annuncio di mercoledì da parte della Banca d’Inghilterra del Term Funding Scheme per le piccole e medie imprese dimostra che ora c’è un’attenzione particolare per le aziende più piccole che, insieme alla politica fiscale, può davvero essere d’aiuto data la natura delle attuali sfide globali.

A nostro avviso, aumentando l’orizzonte temporale, per il mercato del credito si fanno strada tre scenari. Il primo prevede l’elusione di una recessione negli Stati Uniti, e quindi un mercato del credito orso sul modello del 2015-2016. E se questo sarà il caso, allora gli spread dell’investment grade USA si potranno forse ampliare di altri 20 o 25 punti base, il che suggerirebbe che l’80% è già passato.

Il secondo scenario sarebbe l’idea di una classica recessione del mondo corporate statunitense senza una crisi finanziaria, sulla falsariga del 2000-2002. In questa eventualità, avremmo già assistito al 60% del movimento totale, con un altro ampliamento degli spread di altri 70 punti base per l’investment grade.

C’è un terzo scenario, tuttavia, in cui se guardiamo ad alcuni degli squilibri globali che si sono accumulati negli ultimi 11 anni di espansione, andiamo oltre i livelli di spread del 2002. E qui stiamo parlando in particolare della posizione patrimoniale netta sull’estero degli Stati Uniti, che prima della crisi finanziaria globale era un passivo di 2.000 miliardi, mentre ora questo valore e prossimo agli 11.000 miliardi. Se guardiamo al credito del settore privato cinese, si tratta di oltre 30.000 miliardi, mentre prima della crisi era solo di circa 4.500 miliardi. Sussistono dunque grandi squilibri a livello globale che stiamo osservando e siamo pronti a vedere livelli potenzialmente più ampi di spread nel caso in cui i mercati dovessero cominciare a preoccuparsene.

Crediamo che le opportunità, nel quadro generale, saranno legate alla grande transizione che vedrà l’uscita dai titoli di Stato verso le obbligazioni societarie. E quindi la questione chiave sarà quando acquistare investment grade, capitale bancario, alto rendimento e, in particolare, man mano che scendiamo ulteriormente nello spettro della qualità nell’alto rendimento andare a sfruttare le analisi per concentrarsi sulle aziende che supereranno i prossimi 12 mesi. Se avremo una recessione negli Stati Uniti dovremo aspettarci tassi di default del 10-12%; d’altra parte, solitamente avvicinandosi a un simile contesto il mercato ad alto rendimento inizia a prezzarlo, e si ottengono rendimenti a due cifre. Per questo, ci aspettiamo delle ottime opportunità.

L’ultimo elemento d’interesse riguarda i mercati dei titoli legati all’inflazione, dove i prezzi sono già simili ai livelli di metà ottobre 2008 (diverse settimane dopo il default di Lehman Brothers). Per questo ci troviamo già in un contesto in cui le opportunità sono visibili: sappiamo quali sono. È solo una questione di timing.