Cina ed emergenti banchettano sulla crisi dell’Occidente

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L’impatto strutturale della pandemia è un evento “malthusiano” che determina un cambiamento significativo e amplifica la portata di alcuni mutamenti già in corso prima di questa crisi. L’economia mondiale sarà caratterizzata da alcuni trend che finiscono e altri che cominciano in un intreccio di distruzione e creazione di nuovo valore, che sarà distribuito geograficamente e socialmente in modo decisamente diverso rispetto a oggi. Per il prossimo futuro, siamo negativi sulle prospettive di performance degli asset finanziari occidentali rispetto a quelli emergenti e siamo negativi sul dollaro e rialzisti su renminbi e divise emergenti.

La cosiddetta ripresa a V si sta spegnendo gradualmente sotto la minaccia del trend di fallimenti e dall’indomabile diffusione dei contagi in Europa e sulla costa occidentale americana. Gli Stati Uniti hanno rimosso il blocco dei pagamenti delle rate sui mutui e sul credito al consumo e solo da questo momento si riuscirà a capire la reale dimensione delle insolvenze che ci attendono. Nel frattempo il sistema bancario si è preparato al peggio, accantonando decine di miliardi di dollari a fronte di future perdite sui crediti. Il consensus continua a essere focalizzato sulle trattative per lo stimolo fiscale e sulle prospettive di un vaccino anti Covid, tuttavia non saranno questi elementi a condizionare il cambiamento strutturale dell’economia mondiale che ha già iniziato a materializzarsi in questi mesi. Se vogliamo veramente capire cosa ci attende bisogna avere la capacità di guardare oltre l’orizzonte temporale dei prossimi due/tre mesi, ignorando il rumore di breve termine.

Il quadro attuale evidenzia una serie di fattori. In primis, un’economia occidentale ormai dipendente dalle politiche fiscali e dall’intervento pubblico. In secondo luogo, uno stimolo fiscale di dimensioni mai viste ma prevalentemente assorbito dalle esigenze di sopravvivenza e non per sostenere un rilancio economico. Poi, un tasso di disoccupazione che rimarrà elevato per almeno due anni o più. Infine, l’intero settore privato posizionato in modalità sopravvivenza e determinato a difendere cash flow e solvibilità. La crescita economica occidentale del dopo Covid, interrotta da ricadute in recessione alquanto probabili, sarà modesta dopo le ampie oscillazioni del Pil che avranno caratterizzato i vari trimestri dell’intero anno 2020.

Questo decreterà, in primo luogo, la fine del modello di crescita Usa basato sulla leva finanziaria esasperata. Le attuali politiche delle banche centrali sono necessarie a sostenere un sistema sempre meno solvibile ed esposto in ogni crisi al default sistematico anche se il debito costa molto poco. Esasperare il profitto a breve per essere salvati dal default a ogni crisi è diventato troppo oneroso per il sistema e non più socialmente accettabile. Secondo, la fine del privilegio fiscale goduto dal capitale rispetto al reddito da lavoro. Le aziende americane hanno potuto finora beneficiare di aliquote fiscali decisamente ridotte grazie a un sistema fiscale morbido e propenso a concedere ogni sorta di privilegio alla redditività del capitale. Questo meccanismo è ora insostenibile per la dimensione degli interventi di salvataggio richiesti dal sistema finanziario e per il livello raggiunto dal debito pubblico a causa di tali interventi. Terzo, la fine del modello orientato alla “deregulation and free markets”. La maggiore presenza dello stato nell’economia comporterà una maggiore invasione e controlli nella corporate governance e sui mercati finanziari. A uscirne favorita sarà la Cina, poiché già ora ha un’economia che opera sotto questo regime da tempo. Quarto, la fine della leadership del monopolio del dollaro come divisa di riserva mondiale. La continua esigenza di sostenere l’economia con l’intervento fiscale obbliga la Fed a stampare moneta a tempo indefinito per sottoscrivere le emissioni di debito pubblico Usa mentre, nel frattempo, gli investitori internazionali vendono Treasuries. Il recente rafforzamento del renminbi conferma che i flussi di capitale hanno iniziato a indirizzarsi verso la Cina.

Da questo contesto deriveranno diverse novità. In primo luogo l’inizio della riorganizzazione della global value chain. Molte aziende globali hanno iniziato a spostare fuori dalla Cina una buona parte della produzione di beni e prodotti non destinati al mercato cinese. India e Messico saranno tra i paesi favoriti in questo processo di diversificazione della delocalizzazione e anche alcuni paesi satelliti dell’area Euro potranno intercettare questo trend. Si tratta di una strategia orientata a costruire aree economiche integrate con la propria value chain al fine di ridurre i rischi produttivi e geopolitici. Questo meccanismo sarà uno dei prossimi motori della crescita economica globale e produrrà benefici a tutte le aree coinvolte. Anche se la Cina non avrà più il monopolio di questi investimenti globali, riuscirà a compensare questo meccanismo negativo grazie a un aumento dei consumi interni che dovrebbero costituire il futuro elemento trainante dell’economia mondiale. In secondo luogo, l’inizio del decouplingdell’Asia dall’economia Usa e l’aggancio alla crescita cinese. La leadership della Cina in Asia si gioca sulla capacità di superare velocemente l’attuale crisi globale e ribilanciare la crescita sui consumi interni in modo da diventare il principale cliente delle economie asiatiche. Già oggi l’interscambio cinese con l’Asia coinvolge quasi il 40% del commercio nella regione ed è destinato a crescere grazie alla rapidità con la quale la Cina ha superato l’impatto del Covid mentre gli Stati Uniti e l’Europa sono ancora in piena crisi economica. In terzo luogo, l’inizio del ruolo del renminbi come divisa di scambio commerciale e l’avvio del processo di diversificazione delle riserve valutarie mondiali. I cinesi hanno iniziato ad acquistare massicciamente titoli di stato giapponesi in yen e hanno frenato sugli acquisti di Treasuries. È plausibile che tale diversificazione dal dollaro sia destinata ad accentuarsi procurando un comportamento imitativo da parte di altre banche centrali in Asia. I cinesi non puntano a sostituire il dollaro come divisa di riserva ma ne ridimensioneranno il ruolo. È altamente probabile che i flussi di capitale verso gli Stati Uniti, oggi al record di tutti i tempi, siano destinati a ridimensionarsi.

Alla luce di tali considerazioni confermiamo la nostra view molto rialzista su equity e credito emergente dell’Asia ma rimaniamo piuttosto negativi sulle prospettive dei mercati finanziari occidentali. Europa e Stati Uniti si apprestano a fronteggiare una situazione particolarmente difficile e destinata a durare a lungo. La ripresa dei contagi preannuncia un inverno piuttosto complicato e non privo di rischi per la stabilità sociale. L’allocazione rialzista del fondo Global Strategy si concentra dunque su equity Cina e Asia, mentre siamo short su SPX e DAX. Siamo sempre long di Oro e short di dollaro vs euro. Abbiamo chiuso le posizioni long sui Treasuries a 10/30y, dopo il lungo bull market e data la forte compressione dei tassi Usa, e siamo ora long sui bond governativi cinesi in Renminbi.