UE: a rischio la leadership nella rivoluzione green

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Da un lato, il programma a trazione green del neo presidente eletto Joe Biden. Dall’altro il Regno Unito che ha recentemente pubblicato il suo piano in dieci punti per il sostegno di una rivoluzione industriale sostenibile, con nuovi investimenti in fonti di energia pulita e rinnovabile. Infine, l’Unione Europea che, nonostante l’impegno profuso in iniziative come il Green Deal, rimane ancorata alla lentezza dei suoi processi politici e burocratici, fattore che apre alla possibilità di un passaggio di testimone nella leadership della Green Revolution. Un titolo, quello di guida nella definizione degli standard di sostenibilità, che potrebbe passare nelle mani di Regno Unito e Stati Uniti.

Nel processo di “greenification” globale, tuttavia, cedere lo scettro non è un’opzione. Dopo che Biden si sarà formalmente insediato, dando il calcio d’inizio all’approvazione del suo programma di rivoluzione nelle energie pulite e di giustizia per l’ambiente (Clean Energy Revolution and Environmental Justice), gli Usa imprimeranno una forte accelerazione alla loro agenda green. Sarà aperta dunque la gara in una delle categorie chiave della sfida sostenibile: definire le regole del gioco. Chi deciderà gli standard da applicare alla decarbonizzazione? Quale diventerà il modello di riferimento?

Come parte del Green Deal, la Commissione ha promosso delle consultazioni pubbliche riguardati la tassazione sull’energia e su un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera. I piani di Biden prevedono misure simili anche per gli Stati Uniti, mentre la Gran Bretagna ha deciso di allineare il suo approccio ai suoi punti di forza e questo rende la sua agenda più definita rispetto ai progetti più generali degli altri due contendenti.

Un punto particolarmente interessante del piano britannico è il decimo: “innovazione e finanza”, un elemento che farebbe della città di Londra “il centro globale della finanza sostenibile”. Questo permetterebbe al Regno Unito di giocare un ruolo più che significativo nella definizione degli standard, assicurandosi così un posto d’onore nella discussione per la definizione della tassonomia della finanza sostenibile.

La tassonomia darà una forma precisa al concetto di investimento sostenibile e avrà un enorme impatto nel dirottare i fondi verso iniziative sostenibili. Ad oggi, l’UE è in vantaggio, ma la sua lentezza potrebbe costarle caro. In un momento in cui la leadership è fondamentale, così come costruire alleanze che permettano di mantenere la giusta influenza, il ruolo di guida potrebbe infatti passare agli Stati Uniti.

Oltre al reinserimento nell’accordo di Parigi, entro i primi 100 giorni dalla sua elezione, Biden intende convocare un vertice mondiale sul clima per convincere altre nazioni ad unirsi agli Stati Uniti e porsi obiettivi nazionali più ambiziosi, al di là degli impegni già assunti. Il neo presidente Usa vorrebbe inoltre che i leader mondiali appoggiassero l’emendamento Kigali al Protocollo di Montreal, accelerando la riduzione degli idroflourocarburi, soprattutto dei gas serra, in un’azione collettiva che potrebbe portare a un calo di 0,5 gradi della temperatura globale entro la metà del secolo.

Il Presidente eletto promette di fare un investimento federale di 1,7 trilioni di dollari nei prossimi dieci anni, pari a circa l’8% dell’attuale Pil statunitense. L’idea è di far leva su ulteriori investimenti privati, statali e locali per raggiungere un totale di oltre 5.000 miliardi di dollari, pari al 23% dell’attuale Pil statunitense. Se questi piani saranno messi in pratica, gli Stati Uniti supereranno presto l’UE sul fronte della sostenibilità.