Ciò che conta veramente

-

Gli outlook sono molto popolari, anche o soprattutto fra gli investitori. Spesso le aspettative economiche diventano automaticamente previsioni sugli indici. Quanto siano inutili tali dinamiche, lo dimostra il 2020, senza dubbio un “anno perso” in termini di crescita economica. In quasi tutto il mondo, le economie si sono mosse al ribasso. Solo in Cina il prodotto interno lordo è cresciuto, di poco meno del 2%, mentre le stime del Fmi parlano di una contrazione a due cifre per i paesi più gravemente colpiti dalla pandemia, come Spagna, Italia e Francia.

Se all’inizio del 2020 fosse stata prevista una tale situazione, gli investitori avrebbero formulato prospettive assai fosche per i mercati azionari. E invece le azioni globali, misurate dall’indice MSCI World, hanno guadagnato in media un buon 6%, archiviando quasi esattamente il rendimento medio a lungo termine che noi indicavamo da anni. Il 2020 è dunque l’ennesima riprova del fatto che il successo degli investimenti dipende soprattutto dalla capacità di controllare le proprie emozioni. Il confronto tra la situazione economica e il mercato azionario dimostra in modo inequivocabile come l’andamento dell’una non debba necessariamente corrispondere a quello dell’altro.

Il significato dei tassi d’interesse

A ogni modo, questa non è affatto una prova dell’incoerenza fra borse ed economia reale, ma semplice logica matematica. Il valore intrinseco di un investimento non è altro che il valore corrente dei suoi ritorni futuri. Se i tassi d’interesse scendono, il valore corrente dei ritorni futuri aumenta e con esso crescono anche la valutazione e il prezzo di un asset. Ciò che conta veramente per un investitore sono quindi il tasso d’interesse e il potenziale rendimento ben oltre un anno solare. La crisi del coronavirus ha lasciato una cicatrice che ci porteremo addosso per anni e decenni: tassi d’interesse permanentemente bassi. Ma non è solo questo il motivo per cui in generale siamo ottimisti nei confronti delle azioni.

La Teoria della Moneta Moderna

L’esito delle elezioni presidenziali americane non cambierà nulla. Con la ripartizione al 50:50 del Senato per Joe Biden sarà quasi impossibile governare a pieno regime e ottenere un “sì” coeso del partito alle proposte più progressiste. A prescindere dalle opinioni personali sulla situazione politica negli Stati Uniti, dal punto di vista di un investitore, le circostanze attuali sembrano rappresentare lo scenario migliore.

Tuttavia, più aiuti e più stimoli significano anche più debiti. E per questi serve un creditore disposto ad assumersi l’intero onere debitorio e con poche pretese sui tassi d’interesse. Nel 2020 questo creditore è stata la Federal Reserve, che ha acquistato quasi 3/4 delle obbligazioni nazionali per finanziare il deficit del paese. Questa sarebbe la prima parte della cosiddetta “Teoria della Moneta Moderna”, mentre la seconda parte prevede di recuperare lo stesso denaro in un secondo momento, non appena l’economia torna a crescere. In ogni caso, nel prossimo futuro non c’è da temere né da sperare in questa seconda fase, cioè in una politica fiscale restrittiva (aumento delle tasse, riduzione della spesa) che ridimensionerebbe il debito nazionale.

Anche nell’Eurozona la pandemia ha accelerato la crescita dell’indebitamento pubblico, e non solo. Si è ulteriormente ampliato anche il divario economico, evidente ormai da anni nella divergenza del prodotto interno lordo (Pil) pro capite in Germania e in Italia. Meno in dubbio è la stabilità della zona euro, dove anzi si registra una maggiore convergenza. Lo scorso anno i premi al rischio sui titoli di Stato sono calati, come pure gli spread di rendimento sui decennali emessi dai Paesi Membri dell’Eurozona. A dimostrare la fiducia nella crescente stabilità dell’Europa è anche la cospicua domanda dei nuovi eurobond sebbene con rendimento prossimo allo zero. Sembra che l’unità degli Stati dell’area euro (anche in fatto di indebitamento) abbia chiaramente rafforzato la moneta unica rispetto al dollaro americano. Tendenza che, secondo alcuni, è destinata a proseguire anche nel 2021. Noi siamo invece dell’idea che il mercato valutario ritroverà una certa calma dopo le oscillazioni dello scorso anno. A nostro avviso, il cambio euro/dollaro dovrebbe assestarsi fra 1,15 e 1,25 – un intervallo su cui nessuna delle grandi banche centrali ritiene di dover intervenire.

La crescita futura si fa più costosa

Molti degli outlook di quest’anno sono tornati a parlare di un presunto potenziale di recupero delle azioni europee.  Ma gli Stati Uniti e l’Europa si differenziano sia per il prezzo delle azioni sia per l’andamento degli utili societari che sono, insieme ai tassi d’interesse, gli aspetti che contano davvero.

Il “valore” di un investimento non può essere misurato con dei meri parametri finanziari, eppure è proprio a questo che si riducono le azioni quando si parla di stileValue e Growth. Nel mondo degli investimenti, il termine Value viene disgraziatamente tradotto con “Valore” e quindi confuso con il cosiddetto Value Investing. Tuttavia, mentre gli investimenti basati sul prezzo e sul valore (Value Investing) hanno assicurato per decenni un certo successo, le strategie focalizzate sul solo prezzo (Value) sono fuorvianti, perché un’azione economica non è necessariamente conveniente e, viceversa, una costosa non necessariamente svantaggiosa. A nostro avviso, la qualità di un investimento dipende piuttosto dalla solidità e dalla prevedibilità del ritorno. In caso di bassi tassi d’interesse, i rendimenti futuri acquistano valore. Ecco perché oggi il futuro ha più valore che in passato.

Le azioni non sono tutte uguali

È comunque innegabile che, oltre a ritorni futuri ben definibili, diventino più costose anche le opzioni meno tangibili quando i tassi d’interesse sono bassi. La spinta che la digitalizzazione ha indubbiamente ricevuto dalla pandemia sta in realtà però gonfiando le prospettive di crescita soprattutto in un settore definito in senso molto lato e vago come “tecnologia”. Molti investitori attribuiscono tale opzionalità anche alle criptovalute.

Ma poiché la linea di demarcazione fra opzionalità e speculazione, o scommessa, è molto sottile, ci sentiamo più a nostro agio con la nostra definizione di qualità. Nell’attuale contesto di bassi tassi d’interesse, una allocazione azionaria maggiore è una scelta quasi logica, soprattutto in virtù dei possibili ritorni. Ma dato che l’universo azionario, come quello obbligazionario, può comprendere sia cedole sicure sia biglietti della lotteria, la quota azionaria non è un parametro adeguato per misurare il rischio di un portafoglio.