Gli anni ’20, la Fed e i tassi americani di lungo periodo

-

Ci si potrebbe chiedere se vedremo una ripetizione dei “ruggenti anni ’20”, un decennio di prosperità guidato da importanti innovazioni in ambito tecnologico e l’avvento di nuove pratiche commerciali. La pandemia ha anche portato a scoperte in campo medico e introdotto una nuova cultura del lavoro. Se è troppo presto per misurare l’impatto in tutti i settori industriali, dalla produzione ai servizi, è già chiaro che è stato profondo. C’è una spinta ad accelerare l’automazione, ad accorciare le catene di approvvigionamento, ad adottare pratiche più rispettose del clima e a contribuire a ridurre le disuguaglianze. L’accordo del G7 dello scorso fine settimana su un’aliquota fiscale minima va in questa direzione. Come nei ruggenti anni ‘20, stiamo vivendo cambiamenti che potrebbero, tra le varie possibili conseguenze, portare a un incremento della produttività.

Tuttavia, anche oggi, il rischio di una maggiore disuguaglianza a breve termine sta oscurando il potenziale di una maggiore equità a lungo termine. È questa constatazione che influenzerà la politica monetaria nei prossimi 3-5 anni; la Fed ne è ben consapevole. Questo è visibile nelle fragili letture dei tassi di partecipazione al lavoro. Il debole dato visto la scorsa settimana nasconde una dinamica di fondo ancora più debole, con le persone che stanno perdendo la loro capacità di adattamento alle mutevoli esigenze del mondo del lavoro. Come dovrebbero impostare la politica monetaria le banche centrali, in modo da poter mitigare le difficili trasformazioni nel mondo lavorativo, aziendale e umano?

La Fed aderirà alla collaudata strategia politica del gradualismo. Negli ultimi 25 anni, a parte alcune eccezioni, la Fed non ha mancato di comunicare con largo anticipo le sue potenziali mosse mostrando, nel complesso, un buon track record nel prevenire la deflazione e nel contribuire a un buon livello di crescita negli Stati Uniti. Il 16 giugno, ci aspettiamo che la Fed dichiari che, a condizione di uscire con successo dalla crisi sanitaria, prenderà in considerazione una strategia di riduzione del QE a partire dall’inizio del 2022. Il mercato ha già prezzato completamente questa eventualità. Date le aspettative di un aumento temporaneo dell’inflazione nel medio termine, il silenzio della Fed sarebbe irresponsabile, in quanto potrebbe interrompere il consolidamento dei tassi di lungo termine americani iniziato da fine marzo e, incidentalmente, stimolare picchi disordinati nei tassi a lungo termine. Un aumento graduale dei tassi a partire dalla seconda metà del 2023 o all’inizio del 2024 farà probabilmente parte della strategia.

Respingiamo le speculazioni da prima pagina sul fatto che la Fed, invece di focalizzarsi sull’economia, ecc., si concentrerebbe sulla prevenzione dell’inflazione e delle conseguenti bolle di mercato, portando a un tasso del 3-3,5%. Usiamo la storia come guida. Già nel 2002, il presidente della Fed Ben Bernanke aveva scartato l’idea che l’istituto dovesse adottare una “strategia contro la bolla” per il fatto che il danno collaterale all’economia potesse essere elevato. Essenzialmente Bernanke dichiarò che una tale politica andrebbe contro le buone pratiche, dato che la Fed non può identificare le bolle di mercato meglio dei professionisti del mercato!

È utile anche passare in rassegna gli errori commessi dalla Fed a partire dal 1925. Benjamin Strong, governatore della banca centrale di New York, resistette ai tentativi di puntare la politica monetaria sul mercato azionario, indicando le conseguenze potenzialmente negative. Purtroppo, morì nel 1928 e la Fed passò sotto il controllo dei “combattenti della bolla” alzando i tassi dal 3,5% nel gennaio 1928 al 6% nell’agosto 2029. Ne conseguì un crollo che portò a una depressione prolungata. Bernanke afferma che l’interpretazione corretta degli anni ’20 non è quella popolare. Si racconta che il mercato azionario si sia sopravvalutato, sia crollato e che abbia causato la Grande Depressione. Tuttavia, la verità sta in una Fed troppo ambiziosa e desiderosa di fermare l’aumento spropositato delle valutazioni azionarie. Ritengo che la Fed non ripeterà quell’errore. Il gradualismo sarà di nuovo la strategia preferita. Il tema se la Fed riuscirà o meno a raggiungere il tasso obiettivo del 2,50%, attualmente prezzato, dovrebbe essere al centro del dibattito odierno. Come detto in precedenza, in uno scenario in cui il tasso target è dell’1,5%, dovremmo prepararci a mercati obbligazionari americani forti nei prossimi anni.