Piano EU di Ripresa e Resilienza: scienza o opinioni?

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L’Italia, così come altri Paesi europei, ha lanciato di recente un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il piano è finanziato dall’UE nell’ambito dell’iniziativa NGEU – Next Generation EU – e la quota dell’Italia corrisponde a 191,5 miliardi di euro, da spendere nel periodo 2021 – 2026. L’obiettivo è rilanciare la ripresa e il budget totale per il piano è di 806,9 miliardi di euro. Secondo l’UE, “Lo strumento per la ripresa e la resilienza (lo strumento) mette a disposizione 672,5 miliardi di euro (a prezzi del 2018) in prestiti e sovvenzioni per sostenere le riforme e gli investimenti intrapresi dagli Stati membri. L’obiettivo è mitigare l’impatto economico e sociale della pandemia di coronavirus e rendere le economie e le società europee più sostenibili, resilienti e meglio preparate per le sfide e le opportunità della transizione verde e digitale”. Le parole chiave di questa iniziativa sono due: sostenibilità e resilienza.

Il Piano italiano per la Ripresa e la Resilienza si articola su numerose linee, come la digitalizzazione, la modernizzazione della pubblica amministrazione, l’ecologia, l’innovazione o la mobilità, solo per citarne alcune. Tuttavia, l’obiettivo di questo articolo non è discutere il contenuto del piano. Il piano è ambizioso. Abbraccia una delle macroregioni più importanti del mondo. Copre un periodo di cinque anni in un momento di grande fragilità, sia dal punto di vista economico che sociale. La risposta al covid-19 non ha solo paralizzato l’economia, ma ha anche prodotto numerosi effetti negativi sulla società e questi diventeranno evidenti solo in futuro. Il contesto è sicuramente di elevata complessità. L’obiettivo del piano e del sottostante processo di ripresa è, evidentemente, aumentare la resilienza. La resilienza è, ovviamente, la chiave della sostenibilità. Un sistema che non è resiliente non sarà mai sostenibile. Data l’importanza di questa iniziativa vitale, è fondamentale identificare un modo per misurarne l’efficacia, il grado di successo. In altre parole, si potrebbe postulare il problema come segue:

Oggi, nel 2021, la resilienza dell’Italia è X. Quando il piano sarà terminato, nel 2026, la resilienza sarà Y.

A meno che non possiamo misurare X e Y, come possiamo sapere se il piano ha avuto successo o no? Quanto dovrebbe essere Y per dire che il piano ha avuto successo? Immaginiamo di essere obesi, di consultare un dietologo costoso e di metterci a dieta per, diciamo, sei mesi. A meno che uno non possa misurare la propria massa il primo giorno della dieta, e poi dopo sei mesi, come si fa a sapere se la dieta ha avuto successo? Dando un’occhiata allo specchio o, forse, guardando la circonferenza dei nuovi pantaloni? Certamente no. Monitoreremo sicuramente i progressi – ossia la massa corporea – su base giornaliera o settimanale. Sarebbe un modo serio e razionale di fare le cose, soprattutto se l’investimento è considerevole.

Ma veniamo alla resilienza. La resilienza non è solo una parola à la mode. La resilienza può essere misurata e riflette la capacità di un sistema di resistere a shock e di tornare alla sua condizione originale. Esistono persino macchine per misurare la resilienza dei materiali. Dal 2005 è possibile misurare in maniera razionale e scientifica la resilienza di aziende, portafogli di investimento, sistemi di traffico, città, paesi, persino del mondo intero. Per oltre un decennio il nostro team di ricerca ha misurato e monitorato la resilienza di tutti gli Stati membri dell’UE e quella dell’UE come sistema. Questo ci ha permesso, per esempio, di quantificare l’impatto di grandi crisi ed eventi destabilizzanti, come la crisi dei subprime o il covid-19. L’evoluzione della resilienza dell’UE è riportata di seguito. I dati utilizzati per l’analisi sono dati trimestrali specifici del PIL di EUROSTAT.

 

 

Si possono osservare i seguenti importanti cali di resilienza:

  • • Bolla Internet – 10% (dal 70% al 60%) in 3 anni
  • • Crisi dei subprime – 14% (dal 67% al 53%) in 3 anni
  • • Covid-19 – 7% (dal 60% al 53%) in 1 anno

Ciò che è evidente è che la resilienza dell’UE mostra un’allarmante tendenza al ribasso. Valori di resilienza prossimi al 50% indicano una fragilità molto elevata. In effetti, se si osserva la risposta dell’UE alla crisi migratoria o al covid-19, non è difficile rendersi conto che l’UE è fragile anche quando si tratta di una politica comune. La tabella seguente riporta la resilienza delle principali economie dell’UE nel 2000, 2010 e nei quattro trimestri del 2020.

 

 

Il Regno Unito e l’Italia vantano la più alta resilienza, rispettivamente del 75% e del 74%. I due grafici sottostanti offrono, come esempio, un confronto dell’evoluzione della resilienza dell’Italia e della Germania nello stesso periodo  (2000 – 2020).

 

 

Nell’ultimo decennio la resilienza dell’Italia ha oscillato intorno all’80%, mentre quella della Germania intorno al 70%. Tuttavia, non bisogna confondere la resilienza con la performance. L’elevata resilienza non implica necessariamente alte prestazioni. In effetti, l’economia tedesca corre di più di quella italiana, ma l’economia italiana è più resiliente di quella tedesca.

Il punto, però, è il seguente. La resilienza può essere misurata in modo scientifico e razionale. Può essere scomposta in componenti, in modo che si possa capire quali fattori hanno più impatto su di essa. Se l’UE sta davvero cercando di diventare più resiliente, dovrebbe misurare e monitorare questa resilienza man mano che il piano procede, mentre i miliardi vengono spesi. Non è sufficiente contare il numero di veicoli elettrici, le emissioni di CO2 o l’aumento della larghezza di banda della rete per dire che ora siamo più resilienti e più sostenibili. La resilienza è troppo importante per la nostra debilitata e fragile economia per non misurarla. Parlarne non basta. Sperare che aumenti solo perché l’UE ci sta buttando miliardi non è sufficiente. Il problema è troppo complesso per un approccio puramente quantitativo. Vuoi una maggiore resilienza? Misurala. Segui al sua evoluzione nel tempo. Identifica i parametri che la controllano e concentra i soldi lì. Ciò di cui abbiamo bisogno è più scienza e meno opinioni di esperti. Numeri, non sensazioni. C’è troppo in ballo.

Un’ultima domanda? Come si può decidere a priori come spendere miliardi per diventare più resilienti se non è stata fatta una diagnosi e valutazione iniziale della resilienza?