La povertà di energia dell’Europa e le conseguenze su mercati e bollette

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I prezzi del gas all’ingrosso sono triplicati dall’estate ad oggi, con la minaccia di un forte aumento delle bollette nei prossimi mesi. In un Paese come il Regno Unito, che è fortemente dipendente dal gas per la produzione di elettricità, questo potrebbe essere particolarmente problematico – soprattutto perché al Regno Unito manca la capacità di immagazzinare gas in grandi quantità dopo la chiusura nel 2017 del sito di stoccaggio Rough, sotto il Mare del Nord.

Le scorte di gas in Europa sono particolarmente basse, cosa che mette Mosca in una posizione di forza rispetto al resto dell’Europa. Questo potrebbe sollevare interessanti questioni geopolitiche, ma nel breve termine il tema più grande che un certo numero di Paesi deve affrontare è l’impulso che i recenti movimenti dei prezzi dell’energia possono dare agli indici di inflazione nei prossimi mesi.

Le pressioni sui prezzi in molte economie sono state elevate a causa delle carenze di fornitura. Gli alti costi di trasporto e le disruption in corso in Cina – che rappresenta un terzo della produzione globale – suggeriscono che gli effetti ‘transitori’ potrebbero persistere almeno per altri sei mesi, se non di più.

Uno shock dei prezzi dell’energia potrebbe portare l’inflazione britannica oltre il 6% nei prossimi mesi, che è ben al di sopra delle proiezioni della Banca Centrale, che hanno previsto un picco di inflazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) vicino al 4%. C’è da chiedersi se un’inflazione più alta porterà a un aumento delle tasse e quindi deprimerà i consumi, e alla luce di ciò è certamente possibile prevedere bollette più alte.

Altrove, i bilanci dei consumatori rimangono sani e i risparmi sono aumentati durante la pandemia. Questo potrebbe suggerire che i consumatori possono continuare a spendere anche se i prezzi aumentano. Inoltre, ci si può aspettare che i consumi seguano la traiettoria della crescita dei redditi e dei solidi aumenti di posti di lavoro sulla base di una forte domanda di lavoro, e aggiungendo i salari che mostrano segni di ripresa, sembra ancor più ragionevole ipotizzare una robusta crescita economica nei prossimi mesi.

In effetti, un’inflazione più alta può agire come un incentivo a spendere nel breve termine. Se si vede il contante perdere valore in termini reali, i consumatori potrebbero decidere che è meglio spendere oggi, piuttosto che aspettare prezzi più alti.

Il superamento dei target d’inflazione rischia di sollevare le aspettative di inflazione. In questo contesto, un sondaggio della Federal Reserve di New York di questa settimana ha mostrato che gli intervistati ora si aspettano che i prezzi statunitensi aumenteranno del 4% nel prossimo anno – un netto rialzo rispetto al sondaggio precedente. Inoltre, i principali tassi d’inflazione possono sembrare molto scollegati dai rendimenti obbligazionari, con le banche centrali che sostengono efficacemente i prezzi delle obbligazioni sulla base dei loro acquisti in ambito di QE.

Tuttavia, c’è la sensazione che, man mano che questi acquisti si riducono, le obbligazioni potrebbero aver bisogno di stabilire un nuovo livello di compensazione, orientando i rendimenti verso l’alto. In questo contesto, i rendimenti europei sono saliti nell’ultima settimana, con la BCE che ha annunciato piani per ridurre il ritmo dell’espansione dei propri bilanci nei prossimi mesi.

Comunque, in questo scenario, riteniamo che i titoli di Stato europei dovrebbero essere meglio sostenuti rispetto ai Treasury statunitensi o ai Gilt britannici. L’inflazione dell’Eurozona è stata al di sotto dei risultati attesi per un certo numero di anni, ed è probabile che rimanga su livelli ben inferiori a quelli degli Stati Uniti o del Regno Unito.

Sulla base di questo, nell’ultima settimana abbiamo incrementato le posizioni corte sui Gilt rispetto ai Bund, poiché i Bund sono entrati in sell-off.

I rendimenti statunitensi sono cambiati poco nel corso della settimana. Il rapporto sugli indici dei prezzi al consumo di agosto non è stato negativo, ma crediamo che pensare che l’inflazione statunitense abbia raggiunto il picco e che tenderà a diminuire con il venir meno dei fattori transitori rappresenti una visione troppo ottimista. Infatti, per i fattori elencati precedentemente, non saremmo sorpresi di vedere un nuovo picco dell’inflazione nei prossimi mesi e che l’indice dei prezzi al consumo rimanga vicino al 5% fino a Pasqua.

Con l’economia che sembra riprendere slancio dopo essere stata messa in difficoltà dall’aumento dei casi di variante Delta ad agosto, pensiamo di poter vedere dati solidi mentre ci muoviamo verso il quarto trimestre, vista anche l’indagine sulle aziende condotta da Empire che indica un deciso rimbalzo a settembre dopo la fragilità di agosto, e le vendite al dettaglio che ieri hanno sorpreso al rialzo.

I mercati del credito in un contesto di bassa volatilità continuano a muoversi nel range. Le nuove emissioni sono state ben assorbite nel corso delle ultime settimane, ma sembra che ci sia poco slancio per una riduzione notevole gli spread.

Nella zona euro, i rendimenti dei mercati periferici hanno registrato un modesto rialzo, mentre i Bund sono entrati in sell-off. Anche i fattori stagionali dovrebbero diventare più costruttivi per gli spread nei prossimi mesi. Nel frattempo, le mosse di Grecia, Spagna e Italia di tagliare le tasse per alleviare l’impatto dei costi energetici più elevati non sembrano aver preoccupato gli investitori obbligazionari. Tuttavia, ci aspettiamo un maggiore controllo fiscale da parte dei falchi del Nord Europa man mano che l’economia della zona euro si riprende.

Anche i mercati valutari sono stati perlopiù stazionari, anche se la corona norvegese ha avuto una forte performance, aiutata da un rialzo dei prezzi del petrolio e dalle aspettative di un imminente aumento dei tassi da parte della Norges Bank.

Guardando avanti

Il policy meeting della Federal Reserve dovrebbe essere al centro dell’attenzione dei mercati nella prossima settimana. Crediamo che la Fed possa annunciare formalmente i suoi piani di taper, con una riduzione degli acquisti a partire da novembre. È possibile che questo annuncio venga rimandato alla prossima riunione se tra i partecipanti alla riunione della Fed permarrà incertezza per la variante Delta e altri venti trasversali nell’economia.

Ma la nostra sensazione è che Powell abbia voluto dare ai mercati un ampio preavviso dei prossimi passi politici, per cercare di mitigare il rischio di un taper tantrum sui mercati. In definitiva, il taper della Fed è stato ben segnalato e ampiamente discusso per gran parte degli ultimi sei mesi, quindi la sua introduzione non dovrebbe essere un grande shock.

Tuttavia, l’ingente assorbimento da parte della Fed di 120 miliardi di dollari di offerta di Treasury al mese comincerà a scomparire, e sarebbe molto sorprendente se non ci fosse qualche reazione nei rendimenti – anche se un’economia in miglioramento aiuta a ridurre il deficit pubblico e i requisiti di emissione.

Dopo tutto, lo scopo del QE era quello di far abbassare i rendimenti a lunga scadenza. Dato che questo è stato ampiamente efficace, è ragionevole che questa tendenza si invertirà al termine del QE.

Tornando al tema dell’inflazione e dei prezzi dell’energia, sarebbe sbagliato tracciare parallelismi con gli anni ‘70. Tuttavia, i prezzi più alti del gas dovrebbero continuare ad essere sostenuti da una domanda robusta e dalle politiche verdi, che hanno visto l’Europa allontanarsi dal carbone e dal nucleare obsoleto dopo il disastro di Fukushima in Giappone cinque anni fa.

Con le energie rinnovabili che faticano a colmare il gap – specialmente se il sole non splende e il vento non soffia abbastanza forte, sembra che dovremo abituarci a prezzi più alti.

Naturalmente, si potrebbe ripristinare la produzione di carbone, ma, nell’esempio del Regno Unito, questo è molto difficile da far quadrare con Johnson che ospiterà la COP26 e che vuole ritrarre il Regno Unito come la nuova superpotenza verde.

Il rischio è quello di un inverno di malcontento, aggravato dagli scaffali vuoti dovuti alle disruption all’offerta legate a Brexit e dalla carenza di lavoratori in settori chiave, che a sua volta aumenta i problemi della catena di approvvigionamento già diffusi nell’intera economia globale. In virtù del fatto che la fornitura energetica del Regno Unito sarà influenzata anche da un’imminente riduzione della quantità di energia importabile dalla Francia, a causa delle chiusure di alcune centrali nucleari e di un incendio avvenuto la scorsa settimana, si è perfino discusso di potenziali interruzioni di corrente nei prossimi mesi.

La povertà energetica a livello nazionale, così come a livello personale, potrebbe rappresentare un rischio di stagflazione. Possiamo sperare che questo non accada, anche se, visto da un’altra angolazione, questo sembra solo rafforzare la necessità di ulteriori investimenti infrastrutturali sostanziali nelle tecnologie verdi.