La 15 giorni delle Banche centrali, dal Brasile alla BoE passando per la BCE

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È stata una grande settimana per le Banche centrali, con diversi incontri per parlare di politica monetaria. Tutti hanno sottolineato le sfide che le banche centrali si trovano ad affrontare, dato che l’inflazione è alta, mentre la crescita è incerta, tra continui rallentamenti sull’offerta e nuovi rischi al ribasso (ad esempio, una crisi energetica in Europa e in Cina, turbolenze nel settore immobiliare cinese, crescente incertezza geopolitica). Anche se le sfide sono simili per tutti, i compromessi specifici sono diversi e, di conseguenza, i percorsi di politica monetaria sono divergenti.

La divergenza più pronunciata è quella tra economie avanzate e mercati emergenti. Diverse Banche centrali nei Paesi emergenti – in particolare in America Latina – hanno già iniziato ad adottare politiche più stringenti in risposta all’inflazione elevata. Questa settimana, la Banca centrale brasiliana ha rivisto al rialzo il proprio tasso, per la sesta volta consecutiva, con un significativo aumento di 150 punti base, portandolo al 7,75% (il suo livello più alto da ottobre 2017) e ha accennato ad un altro aumento di 150 punti base a dicembre. L’inflazione brasiliana corre ora in territorio a due cifre e rischia di radicarsi attraverso il canale delle aspettative. La banca centrale, inoltre, sta cercando di preservare la propria credibilità, mentre il governo si è imbarcato in una raffica pre-elettorale di benefici fiscali.

Le Banche centrali nelle economie sviluppate hanno generalmente adottato un approccio più cauto sul ritiro delle misure di stimolo di emergenza introdotte all’inizio della crisi del Covid. Tuttavia, poiché i diversi paesi sono in fasi diverse della ripresa, i segnali sull’evoluzione della politica monetaria sono stati contrastanti. Questa settimana, la Banca del Canada ha adottato un tono hawkish, suggerendo che la ripresa potrebbe avvenire già nell’aprile del prossimo anno.

Al contrario, la Banca centrale europea e la Banca del Giappone hanno mantenuto le proprie posizioni per il momento, in quanto devono affrontare le prime fasi della ripresa e pressioni inflazionistiche sottostanti più contenute. In particolare, la BOJ sta affrontando una ripresa ritardata e una deflazione ostinata, quindi non era necessario intervenire sulle attuali politiche accomodanti.

Alla riunione di ieri, il presidente della Bce Lagarde ha confermato il proprio atteggiamento equilibrato, mescolando elementi hawkish e dovish. Da un lato, ha espresso la convinzione che il programma di acquisto di emergenza pandemico (Pepp) terminerà alla fine di marzo 2022, in quello che sembrava quasi un pre-impegno. D’altra parte, ha ribadito che un’attenta analisi interna suggerisce come l’elevata inflazione sarà probabilmente temporanea. È importante che Lagarde abbia respinto le aspettative del mercato che prevedevano un aumento dei tassi nel 2022, anche se in modo piuttosto morbido. Nel complesso, Lagarde ha confermato con eleganza il corso della politica della Bce prima dell’attesissimo incontro di dicembre. In quella occasione ci si aspetta che la Bce faccia chiarezza sul futuro dei suoi programmi di acquisto di asset – molto probabilmente, il programma App sarà rafforzato sia in termini di dimensioni (attualmente 20 miliardi di euro al mese) sia di condizioni (mantenendo la flessibilità del Pepp). In effetti, una politica accomodante sembra ancora appropriata per raggiungere l’obiettivo del 2% di inflazione nel medio termine, dato che le pressioni inflazionistiche sottostanti sembrano ancora contenute. Inoltre, la Bce ha avuto la tendenza a reagire in modo eccessivo a un’inflazione elevata in passato (ad esempio, aumentando i tassi nel 2008 e nel 2011, appena prima della recessione) ed è quindi cauta per evitare di ripetere gli errori del passato.

La prossima settimana tutti gli occhi saranno puntati sulla Fed e sulla Banca d’Inghilterra. È probabile che la Fed inizi il tapering, sulla base dei progressi sostanziali verso i propri obiettivi di inflazione e occupazione dal dicembre dello scorso anno. Nel frattempo, la Banca d’Inghilterra potrebbe diventare la prima grande banca centrale dei paesi sviluppati a impegnarsi nel lift-off, dato che ha segnalato che potrebbe aumentare i tassi entro la fine dell’anno (molto probabilmente un aumento di 15pb allo 0,25%).