Politica monetaria, Evergande o prezzo del gas: cosa pesa di più sui mercati globali?

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Di recente non mancano i timori sui mercati finanziari globali, soprattutto per quanto riguarda una retorica d’intonazione più hawkish da parte delle principali Banche centrali, il giro di vite cinese in corso sul settore immobiliare e l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche (in particolare il gas) che porta ad un contesto caratterizzato da un’inflazione più alta ed una crescita più lenta in futuro.

Le principali Banche centrali hanno manifestato di essere ormai quasi pronte ad iniziare a ridurre le misure di sostegno di natura emergenziale che sono state eorogate al culmine della crisi pandmica. La Fed è sulla buona strada per iniziare il tapering a novembre e, in maniera leggermente più sorprendente, il governatore della Banca d’Inghilterra ha lasciato intendere un aumento dei tassi anche prima della fine dell’anno (quindi nei fatti prima della conclusione dell’attuale programma di acquisti) dinanzi a possibili ulteriori peggioramenti in materia d’inflazione.

In Cina la saga di Evergrande è ancora sotto I riflettori, con la politica chiamata ad affrontare la sfida di contenere gli squilibri (tra cui l’aumento del debito, la bolla dei prezzi e l’eccessiva assunzione di rischi nel settore immobiliare), evitando allo stesso tempo il rischio di contagio e le forti ripercussioni sulle prospettive di crescita. Lìipotesi più accreditata è che le autorità cinesi gestiranno un’ordinata uscita di scena di Evergrande, assicurandosi che siano preservati gli obiettivi di stabilità sistemica e “prosperità comune”.

I problemi legati a vincoli e interruzioni sul lato dell’offerta si sono dimostrati più persistenti e pervasivi del previsto, aspetto che rappresenta una preoccupazione per le prospettive di crescita ed inflazione. La manifestazione più recente dei problemi sul fronte dell’offerta si è palesata sul fronte dei prezzi del gas e, più in generale, delle materie prime energetiche. È possibile che la dinamica legata alla pandemia, vale a dire l’impennata della domanda dopo la fase acuta della crisi, abbia messo in luce alcuni problemi strutturali dell’offerta all’interno del settore energetico, laddove i bassi rendimenti e gli sforzi di decarbonizzazione hanno evitato gli investimenti in capex per diversi anni.