Politiche espansive, “The Long Goodbye”

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Quello alla pandemia non è l’unico lungo addio all’orizzonte, si avvicina anche il “long goodbye” alle mi­sure espansive della Federal Reserve e alle sorti del gigante cinese Evergrande. Negli ultimi giorni di settembre è cominciata una nuova fase nelle politiche monetarie. Il segnale più importante è venuto da Oslo, la banca centrale norvegese è la prima banca centrale delle economie avanzate a invertire la rotta con un incremento del tasso ufficiale di ven­ticinque punti base. Nella stessa settimana hanno aumentato i tassi le banche centrali di Brasile, Ungheria, Pakistan e Paraguay. Nelle settimane precedenti lo avevano già fatto la Corea del Sud, il Messico, il Cile, il Perù, la Repubblica Ceca.

La Banca d’Inghilterra e la Federal Reserve non hanno portato cambiamenti alle loro politiche ma hanno parlato esplicitamente dei tempi del riassorbimento degli acquisti straordinari. Ma è probabile che quello alle politiche espansive sarà un lungo addio. Il rapporto dell’OECD ribadisce la forza della ripresa eco­nomica “aiutata dai sostegni fiscali e monetari e all’avanzamento nelle vaccinazioni”. Ma il rapporto avverte anche che la ripresa resta esposta alle fragilità di alcune economie, legate in modo partico­lare alle insufficienti somministrazioni dei vaccini nelle aree emer­genti. Le nuove ondate di contagio rallentano il pieno recupero dell’attività economica, prolungano i ritardi e i colli di bottiglia nelle forniture.

Per quanto riguarda l’inflazione, l’OCSE la pensa come le ban­che centrali, fenomeno temporaneo che si attenuerà nel corso del 2022. Una volta risolte le strozzature nell’offerta non ci saran­no più le attuali pressioni sui prezzi ma, poiché ci vorrà tempo, la transitorietà dell’inflazione andrà misurata in trimestri, non in mesi. Il momentum della crescita sta perdendo forza. In Germania l’indice che misura la fiducia delle imprese è sceso per il terzo mese consecutivo, negli Stati Uniti rallentano l’occupazione e i consumi, i rendimenti a lunga scadenza non mostrano tensioni al rialzo. In questo nuovo scenario i banchieri centrali segnalano l’approssimarsi del nuovo corso della politica monetaria. Come nel passato, probabilmente anche nei prossimi mesi i banchieri centrali dovranno dare prova di flessibilità, Powell del resto si è lasciato le mani libere, il “tapering” sarà avviato “se le condizioni dell’economia lo consentiranno”.

Poi c’è la stabilità finanziaria naturalmente, esposta ai venti che soffiano dalla Cina. Giovedì 23 settembre il gruppo immobiliare cinese Evergrande non ha onorato il pagamento delle cedole semestrali per 83,5 mi­lioni di dollari. Il mancato pagamento di una scadenza non vuol dire automaticamente fallimento, restano trenta giorni di tempo per cercare una soluzione. Ma non sarà facile, da qui a fine anno il gruppo deve onorare pagamenti cedolari per quasi settecento milioni di dollari, entro il prossimo aprile scadranno oltre tre mi­liardi di obbligazioni, il debito complessivo è superiore a trecento miliardi di dollari verso una moltitudine di sottoscrittori e relazioni con pressoché l’intero sistema finanziario domestico.

Le crescenti preoccupazioni delle autorità di controllo hanno portato a introdurre, nell’agosto 2020, regole stringenti per frenare l’indebitamento, per limitare la speculazio­ne e per impedire la formazione di bolle finanziarie. La “Regola delle Linee Rosse” ha posto tre paletti ai livelli di leva utilizzabili dalle società immobiliari: le passività non devono su­perare il 70% degli attivi, il tasso di indebitamento netto rispetto al capitale deve essere inferiore a 100% e il rapporto tra liquidità e indebitamento a breve deve essere superiore a 1. La Regola ha funzionato, molte società hanno ridotto l’esposizio­ne finanziaria ma, come accade spesso, alcune società hanno aggirato e superato i limiti ricorrendo a società sussidiarie e joint venture. Il risultato è stata una riduzione della trasparenza e, nei fatti, un aumento del leverage; Evergrande ha uno dei livelli di leverage più alti del settore, pericolosamente in “zona rossa”. Anche in Cina le società possono fallire: se il fallimento non esistesse, l’azzardo morale amplificherebbe i rischi del sistema finanziario che nel lungo periodo ne uscirebbe indebolito.

Il governo sta valutando i pro e i contro di un fallimento di una società i cui asset valgono il 2% del Pil di un paese il cui debito complessivo si avvicina al 300%. Per le dimensioni, il fallimento di Evergrande avrebbe natura si­stemica: il gruppo è al centro del sistema immobiliare cinese che vale circa il 30% del Pil di un’economia che, a sua volta, è al centro dell’economia globale. Giovedì scorso la banca centrale ha immesso diciassette miliardi di dollari di liquidità nel sistema, è stato l’intervento più rilevante da gennaio.

Guardando in profondità, quello che sta accadendo in Cina è molto più vasto del destino di una società immobiliare, per quan­to centrale negli equilibri finanziari del paese. Il governo è sempre più pervasivo nella vita dei cittadini e delle società: è in corso un “long goodbye” al periodo inaugurato da Deng Xiaoping, il suo motto “arricchirsi è bello” viene sostituito dalla “prosperità comune” di Xi Jinping: è il cambiamento più rilevante dal 1978. Emergono stridenti di­suguaglianze, il divario tra i più ricchi e i più poveri è più ampio rispetto alle economie avanzate; i numeri della povertà estrema sono crollati ma la metà della popolazione vive con un reddi­to medio annuo di 12.000 yuan, poco meno di duemila dollari. Dall’altra parte c’è la ricchezza di ottanta miliardari che appar­tengono al club esclusivo dei più ricchi del mondo, poi c’è qualche altro migliaio di miliardari “un po’ meno” ricchi perché non entrano nelle liste super esclusive di Forbes e di Bloomberg.

Le correzioni degli ultimi mesi però non sembrano fughe precipi­tose verso le uscite del cinema, le valutazioni relative del mercato cinese e degli altri paesi dell’area restano convenienti, le prospet­tive di medio termine positive al netto della inevitabile volatilità di queste settimane. Restare investiti in Cina è rischioso, ma sarebbe più rischioso non essere investiti.

È anche possibile che il governo guardi con indifferenza ai flussi di borsa e non sia neppure propenso a compiacere gli investitori esteri. Ma se i capitali esteri prendes­sero massicciamente la strada di casa gli effetti sul sistema finan­ziario non sarebbero lievi, ne verrebbero colpiti milioni di piccoli risparmiatori e, soprattutto, verrebbe opacizzato il prestigio inter­nazionale dell’economia cinese: al club delle grandi economie mondiali siedono solo paesi aperti agli scambi finanziari e agli investimenti esteri. Per noi è improbabile che, anche se il destino di Evergrande fosse il default, il governo non intervenga per contenere gli effetti sul resto del sistema: i prezzi del mercato obbligazionario riflettono lo scenario peggiore e presentano in alcuni casi opportunità di acquisto che, naturalmente, richiedono elevata selettività e gestione attiva.