Il rischio inflazione e le strategie della Fed spaventano i mercati

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Il tanto atteso indice dei prezzi al consumo (IPC) degli Stati Uniti è aumentato del 6,2% su base annua, ai massimi dal 1990. Una delle principali cause fa riferimento soprattutto ai rincari dell’energia e dei beni alimentari, nonostante l’indice segni comunque un incremento del 4,6% al netto di questi fattori. Il timore che al tapering molto più rapido per combattere l’inflazione possa seguire un rialzo anticipato dei tassi, dopo il taglio nel marzo 2020, ha fatto deprezzare le azioni. Al contrario, i mercati obbligazionari hanno invertito la rotta, facendo registrare un rialzo alimentato dal nuovo ceppo Omicron del Covid, e iniziando a scontare un aumento anticipato dei tassi, ora previsto a maggio del 2022.

La curva dei futures sui Fed funds è diventata più ripida di fronte all’evolversi della posizione degli operatori di mercato, che hanno anticipato la previsione di un rialzo dei tassi, ritenendo che la riunione del FOMC prevista a maggio 2022 prevederà l’annuncio di nuove politiche relative ai tassi. Sulla base della curva degli swap, le aspettative di rialzo dei tassi sembrano puntare di più verso un livello dell’1,75% (rispetto all’attuale 0,25%). Questo implica un tasso di equilibrio relativamente basso rispetto ai precedenti cicli di rialzi, che sta esercitando una forza di attrazione sui rendimenti dei Treasury a 10 anni. Invece, i titoli azionari si stavano già riprendendo in seguito all’annuncio della variante Omicron del Covid-19, più contagiosa, che ha causato restrizioni nei trasporti e ulteriori misure di contenimento in Europa, danneggiando soprattutto il comparto dei viaggi e degli alloggi per i turisti.

In genere, novembre è un mese caratterizzato da scambi vivaci sui mercati azionari, contribuendo a far crescere i rendimenti da inizio anno in media dell’1%. Stavolta non è accaduto, e le azioni globali hanno ceduto l’1,5% nel mese. La doccia fredda è arrivata con l’intervento di Powell al Congresso, che ha colto di sorpresa gli analisti. È un distanziamento molto netto dal mantra di chi ripeteva che “l’inflazione ha natura transitoria”. In questo frangente la Fed sta accentuando i toni aggressivi poiché l’inflazione le sta causando un disagio sempre maggiore. Il livello e la velocità del rialzo dei prezzi aumentano il rischio di effetti secondari sui mercati e di un’inflazione vischiosa.

La natura dell’inflazione è importante. In prevalenza l’inflazione attuale non appartiene al tipo “buono” – quello che non provoca un’accelerazione e coincide con un’economia in equilibrio. Al contrario, l’economia globale sta registrando un’inflazione cattiva, causata dai vincoli dell’offerta, che alla fine potrebbe aprire la strada a una ‘pessima’ inflazione. Vista l’attuale forza del mercato del lavoro statunitense, aumentano le possibilità che la natura di questa inflazione prenda il sopravvento; il maggior potere di negoziazione dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro alimenta infatti la spirale salari-prezzi. Powell ha riconosciuto l’errata valutazione della Fed sull’inflazione. Infatti, la domanda è stata artificialmente soffocata dalla pandemia mentre le pressioni dal lato dell’offerta hanno creato effetti non lineari che sono sfuggiti ai normali modelli macro. Il nuovo ceppo Omicron del Covid imprime ulteriore spinta all’ultima svolta di Powell. L’OCSE ha avvisato che l’inflazione non diminuirà fino al termine della pandemia. Una nuova variante potrebbe prolungare la battaglia contro il Covid e di conseguenza con l’inflazione.

Ma non giungono solo cattive notizie: negli Stati Uniti il terzo trimestre si è chiuso con utili aziendali stellari, a dimostrazione che le società stanno continuando a guadagnare ‘pricing power’, facendo ben sperare per le azioni. Continuiamo a pensare che la fine del tapering non implichi una transizione fluida verso un ciclo di rialzo dei tassi, perché idealmente la Fed vorrebbe osservare un tasso di attività più alto prima di aumentare il tasso di riferimento. Nel 2022 prevediamo che l’inflazione si attenuerà, offrendo alla Fed un certo margine di manovra per capire se parte del calo del tasso di partecipazione (il numero di persone attive nel mercato del lavoro) sia ciclico. In definitiva, ciò che conta per i mercati azionari non è tanto la data di rialzo del tasso di riferimento, bensì il grado di avvicinamento verso il tasso di equilibrio. Nello scenario di una Fed iper-rigida nel breve termine, l’economia statunitense riuscirà ad assorbire i primi aumenti dei tassi e continuerà a crescere a un ritmo sostenuto nel 2022. Nel frattempo, la crescita delle infezioni e la scoperta di nuove varianti di Covid possono innescare fasi temporanee di avversione al rischio che favoriranno i titoli di Stato.