2022, battuta d’arresto o nuova vita per l’ESG?

-

In ambito ESG, il 2021 ha visto un’accelerazione in alcune aree e vediamo poche ragioni per cui questo processo non debba continuare anche nel 2022, anche se il mondo si muove in un nuovo ambiente inflazionistico e la pandemia si spera decresca ulteriormente. Il finanziamento del Recovery Fund dell’UE deve ancora partire (anche se sono già stati erogati 54 miliardi di euro di pre-pagamenti) e, nel tempo, questo dovrebbe fornire un sostegno continuativo in Europa. Come ha dimostrato il 2021, è quasi impossibile prevedere come le tendenze possano formarsi o dissiparsi, ma ci sembra che ci siano alcuni punti chiave che hanno più probabilità di altri di persistere nei prossimi 12 mesi e oltre.

Zero-washing

Gli obiettivi di decarbonizzazione a livello aziendale stanno diventando livelli di prerequisito per le più grandi società quotate.

La necessità per ogni settore di decarbonizzare è diventata chiarissima e, mentre gli obiettivi sono una gradita aggiunta al reporting aziendale, i consumatori e gli investitori stanno iniziando a richiedere più di semplici obiettivi: vogliono implementazione e tabelle di marcia. Ciò ha scatenato i timori dello “zero-washing”, in quanto le aziende sostengono di avere obiettivi net zero e timing precise, mentre in realtà la facilità nel fissare obiettivi a 30 anni ostacola l’azione a breve termine. L’importanza di fissare degli obiettivi a breve termine è in parte dovuta al livello di investimento necessario per decarbonizzare, compensando così un significativo rischio finanziario nel futuro. Si stima che siano necessari 9.200milioni di dollari di spesa media annua in attività fisiche per raggiungere il net zero, molto più del livello attuale. L’onere ricadrà sempre più sui gestori degli asset per garantire che stiano portando avanti il dialogo con le aziende su questo fronte, al livello appropriato, e per assicurare che le richieste di investimenti sostenibili possano essere giustificate.

Regolamenti, regolamenti, regolamenti

Nel 2021 sono stati lanciati più di 760 nuovi fondi azionari ESG a livello globale e sono stati introdotti più di 160 strumenti di politica finanziaria sostenibile nuovi o rivisti. L’Europa è stata a lungo leader nella politica di finanza sostenibile e ciò sembra destinato a continuare nel 2022 con l’entrata in vigore di una serie di regolamenti sia per le aziende sia per gli investitori. Poiché la divulgazione e la chiarezza dei dati è stata a lungo una preoccupazione, l’applicazione di questi regolamenti porterà al mercato una trasparenza sempre maggiore.

Alcuni elementi sono di particolare interesse nel 2022: la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) è ben avviata. I fondi basati sull’articolo 8 o sull’articolo 9 hanno già raggiunto il 37% del patrimonio complessivo dei fondi UE nel terzo trimestre del 2021 e si stima che questo potrebbe raggiungere il 50% a metà del 2022. Man mano che la SFDR continua ad essere introdotta, il controllo dei fondi così etichettati aumenterà drasticamente.

La tassonomia dell’UE, un sistema di classificazione della sostenibilità a livello europeo per le attività, ha visto adottare diverse attività nell’ambito della mitigazione e dell’adattamento al clima alla fine del 2021. Nel 2022 sembra continuare il dibattito all’interno dell’UE per includere il nucleare e il gas naturale come attività di transizione. L’UE ha anche proposto una tassonomia sociale per portare più trasparenza agli investitori sull’impatto sociale e le prestazioni dei loro investimenti. Il primo rapporto sarà probabilmente emesso durante la prima metà del 2022.

Ritorno in ufficio

Si tratta di una tendenza emergente negli ultimi due anni, ma oggi, con la pandemia che si avvia a diventare endemica, sta venendo alla ribalta.

Il modo in cui le aziende gestiranno il ritorno sul posto di lavoro diventerà una questione sociale chiave. Per molti dipendenti è comodo lavorare da casa e potrebbero non voler tornare in ufficio, sia per paura di contrarre la COVID-19, sia perché preferiscono la flessibilità e la libertà aggiuntive che il lavoro a distanza offre. Se i dipendenti sono costretti a tornare in ufficio per un certo numero di giorni, potrebbero andarsene per unirsi ad aziende che utilizzano maggiormente il lavoro da remoto, o potrebbero richiedere di essere compensati per il disagio di fare i pendolari per andare al lavoro.

Le aziende dovranno probabilmente bilanciare i benefici del lavoro a distanza con l’impatto che lo stesso potrebbe avere sulla cultura aziendale. Può essere difficile sperimentare pienamente la cultura aziendale in un ambiente online. I nuovi arrivati, specialmente quelli alle prime armi, possono beneficiare di una formazione di persona e di essere immersi nella cultura aziendale. Se questi dipendenti non possono andare in ufficio, interagire con i colleghi e costruire relazioni, ciò potrebbe creare una mancanza di motivazione a rimanere con l’azienda. La compensazione a livello di salario potrebbe diventare l’unico driver chiave.

Trovare l’equilibrio tra i benefici del lavoro a distanza e quelli del lavoro in ufficio non ha una soluzione universale. Dovrà essere fatto azienda per azienda e anche team per team all’interno della stessa azienda per determinare quale equilibrio sia ottimale, ma sembra che una sorta di ibrido tra casa e ufficio sia il modello preferito. La cosidetta Great Resignation è diventata un termine comune, dato che i tassi di turnover dei dipendenti hanno accelerato.

Le aziende potrebbero continuare a sperimentare un’elevata rotazione e potenzialmente grandi aumenti del costo del lavoro se gestiscono male il ritorno al lavoro. Secondo Oxford Economics, il costo medio della sostituzione di un dipendente (che guadagna 25.000 sterline all’anno o più) è di 30.614 sterline, come risultato dei costi logistici di reclutamento/assunzione, ma soprattutto dei costi della perdita di produzione, mentre i nuovi dipendenti raggiungono la produttività ottimale. Dal punto di vista degli investimenti, potrebbe iniziare a pesare sui margini delle aziende.