Il mondo può vivere senza il petrolio russo?

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Il mercato del petrolio mostrava già una carenza di approvvigionamento prima dello scoppio della guerra e ora ci si sta immergendo ulteriormente in questo deficit. Nell’Europa occidentale, provvedimenti legislativi e regolamentazioni per la tutela dell’ambiente hanno scoraggiato la crescita della produzione di petrolio e gas nel settore privato, mentre a fare da freno negli Stati Uniti sono stati un più alto costo del capitale e la maggiore attenzione verso comparti con rendimenti più alti. Il risultato? Mercati più stretti e volatili.

Dati questi vincoli, se il petrolio russo scomparisse dal mercato, sarebbe molto difficile trovare abbastanza nuove fonti di approvvigionamento nel breve termine per colmare il divario ed evitare che i prezzi del petrolio salgano bruscamente.

Embargo sul petrolio russo

Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno annunciato l’embargo sul petrolio, i primi con effetto immediato, il secondo prevedendo una graduale riduzione delle importazioni fino alla loro eliminazione entro la fine di quest’anno. Entrambi i Paesi importano relativamente poco petrolio da Mosca come percentuale del loro mix energetico totale, quindi le loro azioni sembrano in gran parte simboliche. Per essere pienamente efficace, molti altri paesi dovrebbero aderire all’embargo, in particolare quelli europei, che dipendono molto di più dalle forniture russe.

Nel frattempo, i grandi acquirenti globali di petrolio come BP ed ENI prestano particolare attenzione nell’evitare di violare un embargo, iniziando una progressiva uscita dai contratti con la Russia. Mentre continuano a comprare il petrolio russo secondo accordi già in essere, non stanno rinnovando i contratti per le consegne future. Le esportazioni via mare dalla Russia verso l’OCSE sono già state dimezzate, mentre il greggio degli Urali è scambiato con uno sconto di circa 25 dollari al barile rispetto al Brent, rispetto ai soli 4 dollari di febbraio. E il prezzo del diesel – che è vitale per il trasporto commerciale e per i macchinari – sta riflettendo la carenza reale. Possono i governi europei portare chiarezza in una situazione confusa e deteriorata?

Europa al bivio

L’Europa affronta una decisione più difficile di quella degli Stati Uniti e del Regno Unito. I paesi europei, in particolare la Germania e l’Italia, sono clienti relativamente più grandi per il petrolio russo e, soprattutto, dipendono dalla Russia per oltre il 40% del loro gas naturale e il 30% del loro petrolio. Questa dipendenza dà alla Russia un vantaggio, perché qualsiasi azione per fermare le importazioni di petrolio potrebbe portare all’interruzione delle forniture di gas. L’UE ha recentemente pubblicato un piano di massima per diventare indipendente dalle forniture energetiche russe ben prima del 2030 e per ridurre la domanda UE di gas russo di due terzi entro la fine di quest’anno. Ma queste misure richiederanno tempo per essere attuate.

Nel frattempo, l’Europa potrebbe affrontare un inverno brutale, se si rifiuta il petrolio russo e/o se la Russia taglia preventivamente le forniture energetiche. Secondo le stime del think-tank europeo EconPol, il costo a breve termine per la Germania di fermare completamente le importazioni di energia russa sarebbe il 3% del PIL. Ma EconPol non può escludere crolli e sconvolgimenti economici più grandi. RWE, il più grande produttore di energia della Germania, ha persino avvertito di “conseguenze inimmaginabili” per la fornitura di riscaldamento delle famiglie. Questi risultati possono sembrare terribili, ma le conseguenze potrebbero essere ancora peggiori se l’Europa non agisce per scoraggiare l’aggressione russa. Su questo sfondo, è impossibile prevedere le possibilità di un divieto europeo concertato sul petrolio russo. Gli esperti di geopolitica stimano attualmente un intervallo di probabilità del 30%-50%, ma in questa situazione volatile le prospettive potrebbero cambiare di giorno in giorno.

Bandire il barile russo

Sostituire la quota di fornitura mondiale della Russia sarebbe impegnativo anche in uno scenario ottimale. Uno scenario ottimistico includerebbe una maggiore produzione dallo scisto statunitense, dalle nazioni dell’OPEC e dai paesi, attualmente soggetti a sanzioni da parte degli Stati Uniti, come il Venezuela e l’Iran. Ma gran parte di questa maggiore produzione richiederebbe ulteriori investimenti e molto più tempo.

Di conseguenza, una perdita totale delle esportazioni di petrolio russo sarebbe molto dannosa per il PIL globale nel breve/medio termine. Prezzi molto più alti guiderebbero la distruzione della domanda (meno attività economica) per riequilibrare il mercato. I consumatori e le imprese avrebbero bisogno di economizzare e la domanda si contrarrebbe, fino a quando un’offerta adeguata tornerebbe in funzione e permetterebbe ai prezzi di scendere. Il petrolio non è solo il 5% del PIL mondiale, ma anche un motore chiave della maggior parte delle attività economiche. L’impatto di una carenza di petrolio si sentirebbe in tutta l’Asia e l’America Latina, così come negli Stati Uniti e in Europa, perché i prezzi del petrolio riflettono le condizioni del mercato globale.
La nostra analisi di scenario suggerisce che in un caso di distruzione della domanda i prezzi del petrolio potrebbero raggiungere i 200 dollari al barile. Questo scenario aumenta anche le possibilità di ritorsioni russe contro l’Occidente, che potrebbero portare a un’ulteriore escalation e a sofferenze umane e danni economici.

Le conseguenze per la Russia

Un embargo comporterebbe molteplici pericoli per la Russia. L’energia rappresenta oltre il 30% del PIL russo (diviso 75% petrolio / 25% gas) e le esportazioni rappresentano il 75%-80% della produzione di idrocarburi. È improbabile che la Russia sia in grado di reindirizzare tutte le sue esportazioni di petrolio verso paesi più amichevoli (soprattutto Cina e India), soprattutto a breve termine, lasciando una gran parte del suo surplus di petrolio non consegnabile. Poiché la Russia non ha abbastanza capacità di stoccaggio per un embargo a lungo termine, questo surplus di petrolio alla fine dovrebbe essere chiuso, portando potenzialmente a una perdita permanente di entrate (e di capacità globale) perché i costi di riavvio dei campi in ambienti nordici ostili sono estremamente elevati.

Non solo scenari negativi

Naturalmente, è perfettamente possibile che nessuno di questi terribili risultati si materializzi. Il conflitto potrebbe essere risolto, con i prezzi del petrolio di nuovo su livelli prebellici. E c’è un ampio margine di errore per qualsiasi previsione: eventi imprevedibili – come una ricomparsa del Covid – potrebbero innescare grandi cambiamenti nell’equilibrio tra domanda e offerta, con un impatto commisurato sui prezzi.

Il conflitto è tragico per il popolo ucraino e per il mondo. Serve anche come un enorme campanello d’allarme per i governi occidentali. Ci aspettiamo che ci sarà una rivalutazione dell’importanza della sicurezza energetica e una spinta a sviluppare nuove forniture energetiche di tutti i tipi, sia rinnovabili che basate su petrolio e gas. Il passaggio alle energie rinnovabili dovrebbe accelerare insieme all’intensificazione degli investimenti nell’efficienza energetica, questa volta con una pianificazione della transizione più pragmatica nei paesi occidentali che consideri sia la sicurezza dell’approvvigionamento che la competitività industriale.

Questo approccio più deciso includerà un ruolo continuo a medio termine per il petrolio – e anche per il gas, come sostituto a basse emissioni del carbone, il singolo combustibile più inquinante. Ma le compagnie energetiche europee vorranno un chiaro segnale dai governi che i nuovi progetti rappresentano un contributo necessario alla sicurezza degli approvvigionamenti coerente con la transizione energetica a lungo termine.