Le implicazioni di Pechino su scala globale

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Negli ultimi giorni i mercati finanziari sono stati in modalità risk-off, dato che l’attenzione si è spostata dai timori che riguardano l’inflazione a quelli che ruotano intorno alla crescita. Più nello specific: il sell-off del mercato azionario statunitense ha cancellato circa 1500 miliardi di dollari mercoledì e il sentiment è rimasto negativo nella giornata successiva. Il mercato riconosce ora che il cosiddetto atterraggio morbido è improbabile, poiché sarà difficile per le Banche centrali calibrare una risposta politica in grado di affrontare l’elevato livello d’inflazione senza frenare l’espansione economica. È probabile che la volatilità persista nel breve termine, poiché non sembra esserci una terza via tra due opzioni ugualmente sfavorevoli, ossia un’inflazione persistentemente elevata ed una recessione.

Non c’è stato un singolo fattore scatenante del sentiment negativo sui mercati negli ultimi giorni, ma piuttosto un insieme di informazioni preoccupanti. Per citarne solo una, i dati mensili sull’attività economica hanno mostrato la contrazione dell’economia cinese ad aprile, mentre le autorità hanno raddoppiato gli sforzi per contenere la diffusione della variante omicron. L’attività nei settori dell’industria e dei consumi ha toccato i minimi dall’inizio del 2020, mentre sono stati attuati confinamenti su larga scala in aree economicamente fondamentali, come Shanghai.

Le implicazioni degli attuali sviluppi in Cina per l’economia globale ed in particolare per le prospettive dell’inflazione sono piuttosto ambigue. Sebbene le prolungate interruzioni della catena di approvvigionamento si siano rivelate inflazionistiche a livello globale, un forte rallentamento della domanda cinese peserebbe sui prezzi dell’energia e dei metalli a livello globale, mentre l’indebolimento dello yuan dovrebbe esercitare una pressione al ribasso sull’inflazione a livello globale.