Scenario di stagflazione e prospettive per i mercati

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Uno scenario di stagflazione

Negli ultimi mesi il tema inflazione si è fatto sempre più pressante. La guerra in Ucraina e la conseguente accelerazione al rialzo dei prezzi delle materie prime energetiche si sono innestate in un contesto di pressioni al rialzo sui prezzi già presenti. Va infatti ricordato come la forte ripresa economica post-Covid, favorita da ingenti stimoli monetari e fiscali, abbia favorito già nel 2021 il generarsi di colli di bottiglia nella produzione e difficoltà di approvvigionamento di molti componenti, anche in settori chiave come l’automobile e i semi-conduttori, dinamiche che hanno spinto i prezzi alla produzione al rialzo. Inoltre, il generalizzato calo della disoccupazione ha spinto al rialzo i salari, dapprima negli Stati Uniti ma successivamente anche in Europa.

Lo shock energetico sta ora mostrando il suo volto peggiore. Le imprese, colpite dai rialzi dei costi di produzione, stanno passando questi aumenti al consumatore finale, erodendone il potere di acquisto. Nonostante il buon andamento del mercato del lavoro, tali aumenti dei prezzi sono di tale dimensione da cominciare sul clima di fiducia dei consumatori. Per il momento, questi ultimi stanno facendo ricorso agli ampi risparmi accumulati grazie agli stimoli fiscali durante la pandemia, o facendo ricorso all’indebitamento (specie negli Stati Uniti). Tuttavia, tali dinamiche non sono sostenibili a lungo e si teme un più marcato rallentamento dei consumi nei mesi a venire.

È proprio questa combinazione di timori sulla crescita e inflazione in forte rialzo che ci fa parlare di uno scenario di stagflazione. La stagflazione è proprio quel fenomeno in cui coesistono livelli elevati di inflazione e un generalizzato indebolimento dell’attività economica o perfino una contrazione della stessa.

I mercati finanziari e le prospettive

Dopo i timidi tentativi di recupero della seconda metà di maggio, la svolta restrittiva delle banche centrali ha pesato moltissimo sui listini, sia azionari sia obbligazionari. Nella giornata del 13 giugno, l’indice obbligazionario Investment Grade europeo (aggregato governativi e corporate) ha segnato la peggior performance giornaliera della sua storia (dal 2000), superando perfino i record toccati durante la crisi del Covid. Anche l’indice obbligazionario Investment Grade americano ha segnato la seconda performance peggiore degli ultimi vent’anni. Tutti i principali indici obbligazionari europei e americani fanno segnare perdite annue a doppia cifra, ancora una volta, qualcosa senza precedenti. Il drawdown dei Treasury americani supera quelli toccati ad inizio anni Ottanta. Le forti perdite dei mercati obbligazionari sono state guidate in larga parte dall’aumento dei tassi core, e solo in misura minore dall’allargamento degli spread. Da fine maggio, i rendimenti decennali di US Treasuries e Bund tedeschi sono saliti di oltre 60 punti base, toccando rispettivamente il 3,45% e 1,75%. Aumenti ancora maggiori per le parti brevi della curva, con i tassi a due anni tedeschi risaliti fino all’1,20% (erano a -0.74% ad inizio marzo).

Come accennato, l’allargamento degli spread nel mercato del credito è stato relativamente contenuto (+15-20 punti base nell’Investment Grade EUR, +30 punti base per l’High Yield EUR), con il mercato High Yield USA (+65 punti base) in maggiore difficoltà (ma partiva da performance relativamente meno negative fin qui).

Per quanto concerne i mercati azionari, gli indici MSCI World e S&P 500 sono entrati ufficialmente in “bear market”, con una correzione di oltre il 20% rispetto ai massimi storici toccati ad inizio anno e di circa 10 punti percentuali nel solo mese di giugno. Correzioni leggermente più contenute per gli indici europei, con tutti i settori e stili che registrano un segno meno.

Guardando al futuro, la revisione al rialzo delle aspettative di rialzo delle banche centrali e l’aumento dei tassi reali pesano su tutte le principali classi di attivo. L’incertezza nel vedere fino a che punto le banche centrali saranno costrette e se vorranno effettivamente aumentare i tassi di riferimento per far fronte all’inflazione, pone l’investitore in una posizione complessa. Lo scenario di stagflazione è il peggiore per i ritorni prospettici. Da un lato, il comparto obbligazionario deve incorporare le prospettive di tassi più alti per combattere l’inflazione. Dall’altro, gli attivi rischiosi (ed in particolare il mondo azionario) devono fare i conti con un deterioramento delle stime di crescita, che inevitabilmente andrà a pesare sugli utili societari e i corsi azionari.

Ancora una volta, riteniamo che una stabilizzazione nella volatilità dei tassi di interesse (attualmente ai massimi dal 2009, con la sola eccezione della crisi Covid a marzo 2020) sia elemento imprescindibile per un approccio più costruttivo sul mondo obbligazionario. Una diminuzione della volatilità dei tassi favorirebbe un ritorno dei flussi in questa classe di attivi, stabilizzando così il mercato obbligazionario governativo.

Per quanto concerne gli attivi più rischiosi manteniamo un atteggiamento di grande prudenza. Mentre i multipli di borsa hanno corretto dagli eccessi raggiunti negli scorsi trimestri di politiche monetarie e fiscali super-espansive, non possono ancora essere definiti attraenti. Inoltre, il rischio è di una seconda gamba di correzione legata alla revisione al ribasso delle stime utili societari, che finora non hanno visto nessun aggiustamento significativo.