Rush finale

-

La rilevazione di ottobre dell’inflazione americana ha costituito indubbiamente una sorpresa, più nell’entità, però, che nella direzione. Gli economisti, infatti, già stimavano una leggera flessione sia della componente headline che di quella core; d’altro canto l’indice dei prezzi alla produzione aveva toccato il punto di massimo già a marzo di quest’anno. Il dato mensile di +0,3% mese su mese, in calo dal +0,6% di settembre, è sembrata però la conferma che la politica restrittiva della Fed abbia iniziato ad intaccare la dinamica dei prezzi in modo sostanziale, alimentando le speranze per un rallentamento nel ritmo dei rialzi. In realtà un forte contributo alla discesa del dato di ottobre è arrivato dal calo delle spese per le assicurazioni sanitarie, legato interamente a ragioni tecniche, oltre che al calo dei prezzi delle auto usate e dei beni di prima necessità. Resta invece ancora in forte crescita la componente affitti, che pesa molto sull’indice, ma in questo caso il meccanismo di trasmissione richiede tempistiche abbastanza lunghe e gli effetti di tassi più alti dovrebbero risultare evidenti nei prossimi mesi. Il segnale è quindi positivo ma da solo non porterà, con molta probabilità, a grosse variazioni di strategia da parte della Banca Centrale americana. La reazione del mercato è stata immediata e veemente, con forte rimbalzo dei settori growth. Il movimento è stato amplificato dal posizionamento estremo dei grossi hedge fund che da molti mesi ormai avevano puntato sui settori value da un lato, e venduto tecnologia e affini dall’altro.

La corsa alle ricoperture ha portato l’indice Nasdaq 100 a balzare del +7,6% in una singola seduta, variazione positiva giornaliera fra le più alte dell’ultimo decennio. Molti analisti però richiamano alla prudenza. Il percorso di rialzo dei tassi proseguirà, con ritocchi più contenuti da 25 e 50 punti base, almeno fino al primo trimestre del 2023 e il tasso obiettivo per ora resta fermo al 5%. Tale livello verrà mantenuto fino a quando non ci saranno evidenze che l’indice di crescita dei prezzi avrà intrapreso la strada verso il target del 2% annuo. L’impatto sulla crescita economica e sui consumi americani si farà certamente sentire e le valutazioni azionarie, benché siano rientrate dai livelli massimi del 2021, per molti ancora non scontano appieno la probabile recessione degli utili dei prossimi trimestri, in particolare quelli delle Big Tech. Il rally di fine anno potrebbe essere iniziato, ma attenzione alle ricadute. Meglio evitare acquisti compulsivi sugli eccessi di rialzo, ma approfittare delle fasi di debolezza per aggiungere gradualmente posizioni sull’azionario. Un aiuto ulteriore potrebbe arrivare dalla Cina, dove in questi giorni si stanno rivedendo le politiche di contenimento del Covid e le misure di sostegno al malandato settore immobiliare. Un supporto anche da questo fronte sarebbe un gradito regalo.

La rilevazione di ottobre dell’inflazione americana ha costituito indubbiamente una sorpresa, più nell’entità, però, che nella direzione. Gli economisti, infatti, già stimavano una leggera flessione sia della componente headline che di quella core; d’altro canto l’indice dei prezzi alla produzione aveva toccato il punto di massimo già a marzo di quest’anno. Il dato mensile di +0,3% mese su mese, in calo dal +0,6% di settembre, è sembrata però la conferma che la politica restrittiva della Fed abbia iniziato ad intaccare la dinamica dei prezzi in modo sostanziale, alimentando le speranze per un rallentamento nel ritmo dei rialzi. In realtà un forte contributo alla discesa del dato di ottobre è arrivato dal calo delle spese per le assicurazioni sanitarie, legato interamente a ragioni tecniche, oltre che al calo dei prezzi delle auto usate e dei beni di prima necessità. Resta invece ancora in forte crescita la componente affitti, che pesa molto sull’indice, ma in questo caso il meccanismo di trasmissione richiede tempistiche abbastanza lunghe e gli effetti di tassi più alti dovrebbero risultare evidenti nei prossimi mesi. Il segnale è quindi positivo ma da solo non porterà, con molta probabilità, a grosse variazioni di strategia da parte della Banca Centrale americana. La reazione del mercato è stata immediata e veemente, con forte rimbalzo dei settori growth. Il movimento è stato amplificato dal posizionamento estremo dei grossi hedge fund che da molti mesi ormai avevano puntato sui settori value da un lato, e venduto tecnologia e affini dall’altro.

La corsa alle ricoperture ha portato l’indice Nasdaq 100 a balzare del +7,6% in una singola seduta, variazione positiva giornaliera fra le più alte dell’ultimo decennio. Molti analisti però richiamano alla prudenza. Il percorso di rialzo dei tassi proseguirà, con ritocchi più contenuti da 25 e 50 punti base, almeno fino al primo trimestre del 2023 e il tasso obiettivo per ora resta fermo al 5%. Tale livello verrà mantenuto fino a quando non ci saranno evidenze che l’indice di crescita dei prezzi avrà intrapreso la strada verso il target del 2% annuo. L’impatto sulla crescita economica e sui consumi americani si farà certamente sentire e le valutazioni azionarie, benché siano rientrate dai livelli massimi del 2021, per molti ancora non scontano appieno la probabile recessione degli utili dei prossimi trimestri, in particolare quelli delle Big Tech. Il rally di fine anno potrebbe essere iniziato, ma attenzione alle ricadute. Meglio evitare acquisti compulsivi sugli eccessi di rialzo, ma approfittare delle fasi di debolezza per aggiungere gradualmente posizioni sull’azionario. Un aiuto ulteriore potrebbe arrivare dalla Cina, dove in questi giorni si stanno rivedendo le politiche di contenimento del Covid e le misure di sostegno al malandato settore immobiliare. Un supporto anche da questo fronte sarebbe un gradito regalo.