UniMi e PLEF parlano di bioeconomia. Alimentazione, moda e sostenibilità

Annachiara De Rubeis -

UniMi e PLEF – Alimentazione, moda e sostenibilità. Ecco i risultati della bioeconomia nelle nostre filiere — 

Continua il ciclo di seminari promossi da Università degli Studi di Milano e Planet Life Economy Foundation. Questa volta il focus è su: Monitoraggio delle filiere e dei prodotti

Nel 6° appuntamento tenutosi nella sede PLEF, Spazio Altavia Italia, i Proff. Fabrizio Adani e Riccardo Guidetti del Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali UNIMI, con la partecipazione di Loreto Di Rienzo e Stanislao Fabbrino, amministratore delegato Fruttagel, hanno affrontato temi quali la bioeconomia e il Life Cycle Assessment: azioni strategiche e interventi specifici al fine di ridurre gli impatti ambientali delle filiere.

Un cambio di paradigma

Come lui stesso ci racconta, era il 1988 quando il Prof. Fabrizio Adani, neolaureato a Monza, ha iniziato a muovere i primi passi verso uno stile di vita sostenibile, facendo semplicemente la raccolta differenziata. Fino a 30 anni fa questo era visto come qualcosa di strano, talmente strano che “ai concorsi cui partecipavo mi dicevano che non valevo come ricercatore ed ora tutti parlano di economia circolare, di bioeconomia, di riciclo ecc”.

Il Prof. Adani spiega che in realtà la questione della sostenibilità non riguarda solo il cambiamento climatico, ma è un vero e proprio paradigma di sviluppo del mondo. Un grande nuovo cambiamento su cui investire da ora fino ai prossimi 23 anni per farlo diventare esteso e funzionante a tutti gli effetti. Un po’ come è stato per la rivoluzione industriale: un punto di non ritorno.

Presa coscienza di questo paradigma di sviluppo, le conseguenze riguardano gli aspetti economici: dovremo spendere più soldi, quindi, per salvaguardare il mondo e le nostre vite. L’obiettivo è sostituire i combustibili fossili con forme rinnovabili per poter produrre tutto ciò di cui abbiamo bisogno ora e una risposta per farlo è la bioeconomia.

Perché la bioeconomia?

La bioeconomia è tutto ciò che ha a che fare con l’utilizzo di molecole di origine biologica per produrre qualsiasi cosa, a partire da biomasse. La biomassa deriva dalla fotosintesi. Dalla biomassa devo produrre tutta l’energia che mi serve, a partire da quella di locomozione in sostituzione della benzina (L’ENI, per esempio, produce biodisel), il fine ultimo è ridurre l’effetto serra. La biomassa rifornisce poi la bioraffineria.

Problemi della biomassa

Se in Europa non si riesce a ricavare abbastanza terra per produrre biomassa, bisognerà importarla da altri Paesi, ma la produzione in Paesi stranieri, potrebbe andare in conflitto con la produzione di cibo e questo è il problema principale dell’ottenimento della biomassa. A questo punto bisognerà capire come rendere sostenibile anche la produzione di carne, in modo che la terra possa essere sfruttata sia per produrre cibo, sia per produrre cibo per animali (che poi diventano cibo), sia per produrre bioenergia.

Soluzioni: prendere, usare e recuperare

Integrare le sostanze nutritive degli insetti nell’alimentazione e fare il recupero dei rifiuti possono essere delle ottime soluzioni. Al posto di “prendere, usare e scaricare” bisognerà prendere, usare e “recuperare”: è un business. L’economia circolare non è solo riciclo, ma è un nuovo approccio in cui si rivede anche il processo produttivo ai fini di recuperare.

Life Cycle Assessment

Il Prof. Riccardo Guidetti propone un altro metodo utile alle filiere per misurare letteralmente la sostenibilità di un’azienda: il Life Cycle Assessment.  Esso consiste nel calcolo dei carichi ambientali, energetici e dei prodotti e rifiuti generati durante il ciclo di vita di un prodotto, un processo o un servizio.

Sono tre i casi in particolare in cui troviamo l’azione del LCA. Il primo è l’ecodesign, su cui molte aziende investono, perché è proprio il packaging che permette di allungare la vita del prodotto. Il secondo caso consiste nella valutazione dell’impatto ambientale di un prodotto alimentare in base all’unità funzionale nutrizionale. Ad esempio, attraverso l’LCA ci si chiederà quanto conviene all’azienda produrre un hamburger vegetale a base di legumi, rispetto ad uno di manzo o di pollo e quali sono i rispettivi impatti ambientali.

Il terzo caso riguarda invece l’analisi di filiera come approccio di life cycle thinking: quanto costa cioè la produzione di un oggetto in termini ambientali considerando tutte le fasi: dalla fase agricola a quella domestica, nelle mani del consumatore, passando attraverso la fase industriale e il trasporto a GDO.

Conflitto tra profitto dell’azienda e sostenibilità

Stanislao Fabbrino mette in evidenza l’importanza di una “operazione verità” tra aziende e consumatori, perché senza le giuste misure si va incontro ad un conflitto tra il profitto dell’azienda e la scelta del consumatore. Questa “operazione verità” deve essere orientata dalla scienza.

La diminuzione della delocalizzazione e il rientro in Europa

Ancora più complessa è la situazione sostenibilità nella filiera della moda. La pandemia ha accelerato una serie di processi del sistema manifatturiero. Innanzitutto, la consapevolezza del consumatore sull’origine e sul fine vita del prodotto ha spinto molti brand a trovare una risposta e, anzi, a cercare di rientrare in Europa, dove le produzioni sono scese. Tuttavia, rimane ancora poca chiarezza nel settore: il paradigma del consumismo nella moda sta cambiando, ma mancano ancora delle leggi che impongano, rendano comprensibile il prodotto.

Loreto di Rienzo, infatti, dopo aver esposto i nuovi punti di forza e le vecchie debolezze del settore conferma che nonostante alcuni miglioramenti, la sfida è ancora aperta.