La musa dei mercati. Matrimonio alla Svizzera

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Come nel 2008, la crisi che colpisce le banche americane, si propaga in Europa e porta al take-over forzato del secondo gruppo finanziario elvetico Credit Suisse da parte della rivale Ubs. Quali rischi per l’interosistema finanziario e per la crescita economica globale?

Dopo un lunghissimo periodo a tassi zero, il 2022 è stato l’anno della grande svolta, complice l’inattesa
impennata dei prezzi al consumo. Le Banche Centrali si sono ritrovate a rincorrere l’inflazione con massicci
rialzi dei tassi, portati avanti senza esitazioni in un brevissimo lasso di tempo. Ora però iniziano a vedersi i
primi effetti collaterali. La crisi è arrivata, come sempre accade in questi casi, senza che nessuno se ne
accorgesse. In soli due giorni, fra il 9 e il 10 marzo, tre banche regionali statunitensi sono finite in default per il più classico dei motivi: la corsa agli sportelli. I tre istituti avevano moltissimo in comune: una clientela
concentrata nei segmenti delle start-up tecnologiche, del venture capital e mondo delle criptovalute ed erano soggetti alla regolamentazione “semplificata” che comporta minori requisiti patrimoniali e garanzie sui depositi.

La Silicon Valley Bank (SVB), la maggiore del gruppo, era il sedicesimo istituto finanziario degli Stati Uniti con oltre 200 miliardi di asset. In un solo giorno ha avuto richieste di rimborso per oltre 42 miliardi (il 20 % del totale degli attivi). Nessuna fila fuori dalle sue filiali, è avvento tutto per via elettronica, il primo “digital bank run” della storia. Per far fronte ai prelievi, SVB ha venduto i Treasury che aveva in bilancio, che però erano valorizzati al costo storico. I rialzi dei tassi da parte della Fed ne avevano fatto calare sensibilmente il prezzo e le perdite realizzate, quasi 3 miliardi di dollari, hanno portato al fallimento. E come era accaduto nel 2008, le crisi finanziarie non conoscono confini e il contagio in Europa è arrivato pochi giorni dopo. A farne le spese è stata Credit Suisse, alle prese ormai da tempo con un forte calo di fiducia da parte della propria clientela a causa dei ripetuti scandali che l’avevano coinvolta nel 2020 e 2021. Dopo aver perso oltre 110 miliardi di depositi fra ottobre e dicembre dello scorso anno, nel weekend del 18-19 marzo è arrivata l’acquisizione da parte di Ubs, praticamente imposta dalle Autorità Elvetiche. Molti investitori ora si chiederanno se ci troviamo di fronte a casi isolati o se è in agguato un nuovo credit crunch.

A nostro avviso in Europa la solidità del sistema bancario non è in discussione, la normativa sui requisiti
patrimoniali si applica a tutti gli istituti a prescindere dalle loro dimensioni e l’impatto del rialzo dei tassi, che comporta una discesa del valore delle obbligazioni che le banche hanno in pancia, viene contabilizzato nei bilanci ai prezzi di mercato. Il caso di Credit Suisse è sicuramente isolato, la crisi viene da lontano e non è certamente legata alle politiche monetarie restrittive ma a scelte gestionali sbagliate. Diversa invece la
situazione negli Stati Uniti. Il problema che ha interessato SVB potrebbe allargarsi ad altre banche regionali,
per questo la Fed e i maggiori istituti bancari (come JP Morgan) si sono affrettati a fornire supporto a quelle in difficoltà. Ci troviamo quindi in una fase delicata, dove nuovi rovesci non possono essere esclusi. Allo stesso tempo, però, è nei momenti come questo che si possono trovare ottime opportunità d’investimento. Riteniamo che il settore bancario europeo, finanziariamente solido e con una dinamica degli utili robusta come non si vedeva da anni, resti di grande interesse sia in ambito azionario che obbligazionario.