Paesi emergenti, tre ragioni per cui la crisi bancaria potrebbe essere evitata

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Il crollo delle banche regionali statunitensi SVB e First Republic è stato causato da fattori idiosincratici, ma probabilmente ha contribuito anche l’aumento aggressivo dei tassi d’interesse. Il sell-off delle banche globali si è poi attenuato, ma le prime indicazioni mostrano che negli Stati Uniti lo shock ha portato a un irrigidimento delle condizioni di credito. Questo inasprimento si aggiunge all’elenco delle ragioni per cui in USA ci si aspetta una recessione nel corso dell’anno.

I cicli di rialzo della Fed hanno messo in luce le vulnerabilità del settore bancario emergente

Nel corso degli anni, i mercati emergenti hanno subito diverse crisi bancarie e finanziarie, poiché i precedenti cicli dei tassi di interesse hanno messo in luce le loro vulnerabilità. Sebbene non esistano due crisi uguali, i problemi nei Paesi emergenti sono stati spesso preceduti da un periodo di rapidi afflussi di capitale che hanno alimentato una ripresa della crescita del credito. Quando la domanda eccessiva si riversa sulle importazioni, gli ampi disavanzi delle partite correnti finanziati da questo “denaro caldo” rendono gli emergenti vulnerabili a una brusca frenata dell’economia quando le condizioni monetarie si inaspriscono nei mercati sviluppati, guidati dalla Fed.

In effetti, in passato abbiamo assistito più volte a improvvisi arresti degli afflussi di capitale dopo che la Fed ha aumentato i tassi di interesse. In questi periodi, abbiamo visto come l’improvviso inasprimento delle condizioni finanziarie interne in seguito a queste circostanze possa ripercuotersi molto rapidamente sull’economia reale. Le banche dei mercati emergenti hanno poi subito il contraccolpo delle successive recessioni e dell’aumento delle inadempienze sui prestiti.

Oggi si vedono alcune delle condizioni che hanno preceduto le passate crisi nei mercati emergenti. Certamente la Fed ha aumentato i tassi di interesse in modo molto aggressivo, con un inasprimento di 475 punti base nell’ultimo anno, superiore a qualsiasi altro ciclo di rialzo degli ultimi quarant’anni. Inoltre, si è verificato un deterioramento della bilancia dei pagamenti della maggior parte dei Paesi emergenti, tanto che molti di essi registrano ora significativi disavanzi delle partite correnti, finanziati almeno in parte da afflussi di capitale a breve termine. Questi problemi non possono essere presi alla leggera, data la natura instabile del sentiment globale, ma ci sono almeno tre ragioni per pensare che non siamo sull’orlo di una grave crisi bancaria nei Paesi emergenti.

1. Ampie riserve di capitale offrono protezione alle banche

Le metriche top-down indicano che le banche dei Paesi emergenti sono generalmente in buona salute. Secondo gli indicatori di solidità finanziaria del Fondo Monetario Internazionale, il rapporto tra capitale regolamentare e asset ponderati per il rischio è generalmente ben superiore ai requisiti minimi di Basilea III (15-20%) nei principali Paesi emergenti. Le banche devono ancora affrontare la prospettiva di un aumento dei non-performing loan a causa del rallentamento della crescita economica nel breve termine, ma le ampie riserve di capitale dovrebbero offrire almeno una certa protezione. Inoltre, i prestiti sono generalmente finanziati dai depositi e ciò riduce la vulnerabilità a un congelamento dei mercati finanziari globali.

2. Scarsa evidenza di un eccesso di prestiti bancari

Non ci sono molte prove di un eccesso di prestiti bancari. Un modo per individuare le fasi iniziali delle crisi nei Paesi emergenti provenienti dal sistema finanziario è monitorare i credit gap, come quelli pubblicati dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Questi misurano la deviazione del settore privato in percentuale del Pil rispetto alle tendenze di lungo periodo. L’idea è che quando la crescita del credito supera l’aumento del Pil nominale, il credit gap aumenta. Al contrario, il credit gap diminuisce quando i prestiti si espandono a un ritmo più lento rispetto all’economia. È sempre pericoloso generalizzare sui Paesi emergenti, ma una rapida occhiata alle esperienze precedenti alla crisi finanziaria asiatica negli anni ’90 e ai problemi delle banche dell’Europa centro-orientale negli anni 2000 mostra che i credit gap spesso si allargano fino a raggiungere circa il 20-30% del Pil prima delle crisi.

Tuttavia, gli ultimi dati suggeriscono che non c’è motivo di preoccuparsi. Queste cifre devono essere trattate con cautela, in quanto i credit gap non ci dicono nulla sulla dimensione assoluta dello stock di debito nei mercati ad alta leva finanziaria, come la Cina. Tuttavia, la debolezza della domanda di credito in un contesto di crescita economica lenta negli ultimi anni fa sì che i credit gap dei Paesi emergenti siano generalmente negativi. In effetti, molti di essi probabilmente beneficerebbero di un ciclo di credito interno che potrebbe guidare un periodo di crescita. Due mercati da tenere d’occhio sono Corea del Sud e Thailandia, dove la leva finanziaria è aumentata.

3. Assenza di squilibri macroeconomici più ampi

Così come la crescita del credito non sembra essere stata eccessiva, non ci sono molte prove di squilibri macroeconomici più ampi che stiano per essere messi a nudo dall’aumento dei tassi di interesse globali. Certo, c’è stato un certo deterioramento delle posizioni della bilancia dei pagamenti, anche in diversi grandi Paesi emergenti come, tra gli altri, Cile, Romania, Ungheria e Colombia.

Tuttavia, gran parte del deterioramento delle posizioni della bilancia dei pagamenti degli emergenti è dovuto all’aumento delle importazioni di energia. A parte alcune eccezioni, come Ungheria e Turchia, dove anche le importazioni non energetiche sono aumentate in modo significativo, questa situazione riflette l’aumento dei prezzi globali a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina piuttosto che il surriscaldamento della domanda interna. Semmai, è probabile che la necessità di finanziare le ingenti spese per l’importazione di energia abbia fatto ridurre il consumo di altri beni.

Inoltre, non sembrano esserci grosse tensioni in termini di liquidità o disallineamenti valutari a livello macro. I debiti esterni a breve termine, compresi quelli delle banche, sono facilmente coperti dalle riserve valutarie. Argentina e Turchia, seguite da Malesia e Ungheria, appaiono più a rischio. Ma si tratta di problemi noti, e vale la pena ricordare che il debito esterno a breve termine ha spesso superato il 250% delle riserve valutarie prima delle crisi passate.

Le banche dei Paesi emergenti si trovano ad affrontare un periodo difficile, via via che l’aumento dei tassi d’interesse colpisce la crescita economica e provoca un aumento dei non-performing loan. Inoltre, l’aggravarsi delle preoccupazioni sulla salute del sistema finanziario globale potrebbe causare volatilità nei mercati finanziari emergenti. Ma i fondamentali macroeconomici relativamente solidi fanno sì che ci sia una bassa probabilità che emergano crisi dal settore bancario.