Pignoramento delle polizze vita: strumenti e limiti – la differenza tra natura previdenziale e scopo speculativo e le normative di riferimento

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a cura dell’avv. Daniele Cattaneo, fondatore dello Studio Legale Cattaneo

 

L’utilizzo delle polizze vita risponde ad una esigenza di garanzia per il futuro per sé e per i propri discendenti e familiari. Sorge, dunque, in un contesto non speculativo.

Il Legislatore del Codice attribuisce piena dignità all’Istituto e ne offre chiara disciplina.

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Il 1° comma dell’art. 1923 c.c. nega, proprio per il fine descritto di dette polizze, la sottoponibilità delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario a esecuzione o a procedimento cautelare, pur precisando, al secondo comma, l’esperibilità, rispetto ai premi pagati, di azioni revocatorie di atti compiuti in pregiudizio dei creditori e di azioni di collazione ereditaria o di riduzione di donazioni.

Il Legislatore del 1942 introduce una deroga legislativa al principio di cui all’art. 2740 c.c. per il quale, verso i creditori, il soggetto risponde con l’intero patrimonio. La deroga trova ratio nella funzione previdenziale che giustifica l’accumulo di capitale. Si garantisce ad assicurato e beneficiari una rendita per il rischio morte o sopravvivenza. Il contesto storico favoriva detta peculiare modalità di risparmio rispetto ad un futuro lontano, come garanzia di stabilità sociale, tale da sgravare lo stesso Stato da compiti assistenziali.

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L’assicurazione sulla vita può, però, divenire strumento finanziario. I contratti evolvono verso una causa cd. mista. Il nuovo obiettivo si persegue attraverso la modalità di versamento del premio in un’unica soluzione, in luogo del premio periodico e rateale, con riscatto anticipato o con durata limitata nel tempo.

Di qui, le polizze Unit Linked (L. 742/1986, All. A, ramo III) e index Linked (D. Lgs. 209/2005 art. 2), prodotti finanziari in cui il riferimento è l’andamento dei mercati. I premi e il capitale, nel loro ammontare, variano entrambi in base a titoli di borsa o a indici e valori di riferimento di genesi bancaria e finanziaria. Il termine Linked si traduce “Vincoli”, che incidono sulla redditività delle polizze, implicando anche il rischio di azzeramento del loro valore, che elimina la originaria funzione previdenziale.

In tale ottica, se si perde detta funzione, vien meno anche il divieto di cui al primo comma dell’art. 1923 c.c., risorgendo il diritto del creditore a pignorare l’indennizzo maturato.

La giurisprudenza ricorre, perciò, al criterio della valutazione di merito di ogni contratto, dovendo il Giudice, al di là del nomen juris, attribuire funzione assicurativa o finanziaria al singolo contratto, in base agli elementi che compongono il regolamento negoziale prescelto.

La Terza Sez. della Suprema Corte n° 6319 del 5.3.19 ha affermato che: “Nelle polizze “unit linked”, caratterizzate dalla componente causale mista, finanziaria od assicurativa sulla vita, anche ove sia prevalente la causa finanziaria, la parte qualificata come assicurativa deve rispondere ai principi dettati dal codice civile, delle assicurazioni e della normativa secondaria ad essi collegata, con particolare riferimento al rischio demografico rispetto al quale il giudice di merito deve valutare l’entità della copertura assicurativa, desumibile dall’ammontare del premio versato dal contraente rispetto al capitale garantito, dall’orizzonte temporale e dalla tipologia dell’investimento. (Nella specie la Corte ha ritenuto che erroneamente il giudice del merito non avesse preso in esame l’esiguità del rischio demografico contrattualmente previsto in relazione all’equilibrio delle prestazioni che veniva sostanzialmente vanificato)”.

La Suprema Corte propone tre criteri di riferimento per comprendere quale funzione prevalga.

1) Scopo previdenziale e non indennitario, in vista del soccorso per il caso di sopravvivenza o per il caso morte;

2) L’alea dell’assicuratore rispetto alla sopravvivenza rispetto alla data di scadenza della polizza;

3) Il peculiare rischio “demografico”, che si riferisce all’importo del premio rispetto all’età.

 

In tale ottica, la Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. III, 30.4.18 n. 10333) si era già espressa, affermando: “Il contratto di assicurazione sulla vita è tale solo qualora rechi la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza. In difetto, il suddetto contratto deve considerarsi un investimento finanziario, con la conseguente applicazione del T.U.F. e del regolamento Consob. Infatti, se il rischio è posto interamente in capo al soggetto assicurato, si ricade in una fattispecie contrattuale diversa dall’assicurazione sulla vita ove l’intermediario è tenuto a rispettare le regole di leale comportamento previste dalla normativa. Inoltre, la natura speculativa e non assicurativa del prodotto comporta una diversa applicazione della disciplina in ambito successorio e fiscale”.

 

In base al 2° comma dell’art. 1923 c.c., sono pignorabili i premi pagati dall’assicurato all’assicuratore se, prima del pignoramento, venga accolta un’azione revocatoria ordinaria o fallimentare. Occorre, però, provare i presupposti dell’azione revocatoria, anche in termini di scientia damni o di consilium fraudis, per ottenere la revoca. In tal caso, il premio verrà pignorato e l’assicurato perderà il diritto di percepire il futuro indennizzo, attesa la declaratoria di inefficacia del versamento.

Il tema della pignorabilità è stato ripetutamente affrontato anche dalle Corti di merito, nell’ottica indicata dalla Suprema Corte. La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 2881, Sez. III, 14.9.22, in merito a una polizza Unit Linked 2, riformava la sentenza di primo grado, che aveva escluso l’impignorabilità dei crediti derivanti dalla polizza, ritenendo prevalente la componente di investimento finanziario. Il Tribunale aveva ritenuto che: “l’entità delle prestazioni restitutorie a carico dell’assicurazione erano correlate all’andamento dei mercati di riferimento e non al c.d. rischio demografico, posto che la morte dell’assicurato finiva per apparire la mera occasione per l’erogazione della somma. Infatti, la somma corrisposta anche in caso di morte avrebbe potuto essere inferiore a quella versata “cosicché il rischio demografico sembra alla fine gravare addirittura sul privato e non già sull’assicuratore”.

 

La Corte di Appello ha richiamato Cass. 6319/19, relativamente a contratti “aventi natura mista”, nella parte in cui ha affermato che: “il giudice di merito deve verificare – con specifico riferimento, all’ammontare del premio versato dal contraente, all’orizzonte temporale ed alla tipologia dell’investimento, se la misura degli stessi sia in grado di integrare concretamente il rischio demografico trasferito all’emittente ovvero se l’entità della prestazione garantita sia “talmente irrisoria da vanificare completamente l’equilibrio delle prestazioni”.

Ha valutato il fatto che il rischio demografico restava a carico dell’assicuratore, precisando che: “Infatti, nel contratto in esame l’emittente si assume l’obbligazione di corrispondere una determinata prestazione collegata all’evento morte dell’assicurato, che in concreto non può ritenersi irrisoria rispetto al capitale versato, posto che l’importo da corrispondere, pari al valore delle quote del fondo al momento del decesso – e quindi eventualmente anche inferiore al capitale versato -, era comunque incrementato di una percentuale’ a carico dell’assicuratore, sufficiente per non vanificare completamente l’equilibrio fra le prestazioni e quindi rendere effettivo il trasferimento del rischio demografico in capo allo stesso”.

Detta sentenza descrive il percorso di analisi della fattispecie e di sintesi giuridica che, caso per caso, il Giudice di merito è chiamato a compiere.

Si registra, in un diverso contesto, il Tribunale di Palermo n. 12299/21, che rileva, invece, la prevalenza di investimento finanziario e afferma la pignorabilità, sostenendo: “4.6- Come si vede, in entrambi i casi, sia pure nell’ambito di una diversa regolamentazione contrattuale, in difetto di rendimenti minimi garantiti ovvero della garanzia di restituzione, quantomeno, del capitale versato, il rischio è posto interamente a carico dell’assicurato, il che comporta, ad avviso del Collegio, un evidente sviamento della funzione, in tesi, previdenziale del contratto di assicurazione  sulla vita: il potenziale azzeramento del capitale atteso è, infatti, incompatibile con la funzione di tale contratto, nei termini sopra sintetizzati, e osta alla sua qualificazione in conformità al nomen ad adesso attribuito.

La componente assicurativa, teoricamente esistente, importa il riconoscimento di una maggiorazione percentuale ben poco significativa (lo 0,2% del rendimento e del valore delle quote), ove si consideri che la stessa potrebbe essere, in concreto, neutralizzata dal potenziale andamento negativo delle grandezze su cui la percentuale deve essere calcolata.

La prestazione cui è obbligato l’assicuratore – non predeterminata nell’ammontare e potenzialmente inferiore ai premi versati – non consente di ritenere che le polizze in questione perseguano, dalla prospettiva del contraente assicurato, uno scopo di sicurezza rispetto ai futuri bisogni legati all’evento della vita dedotto in contratto.

Pertanto, i contratti in questione non risultano sussumibili, dal punto di vista sostanziale-contenutistico, all’interno dell’assicurazione sulla vita, non possono beneficiare dell’invocata protezione rispetto all’aggressione esecutiva che il Codice civile, all’art. 1923, assicura a tale fattispecie negoziale”.

Pertanto, la pignorabilità va valutata in concreto dai Giudice di merito, secondo i tre criteri indicati nel 2019 dalla Suprema Corte, in relazione alle polizze di recente genesi dette Unit Linked.