Il ciclo economico è indistruttibile?

Stefan Rondorf, Senior Investment Strategist, Global Economics & Strategy, Allianz Global Investors -

Alcune settimane fa ci siamo chiesti se, a fronte delle prime crepe nel sistema finanziario, le banche centrali potessero iniziare a usare maggior cautela nei rispettivi cicli di rialzo dei tassi.

A questa stessa domanda i mercati finanziari avevano già dato una risposta chiara: ad un certo punto i future del mercato monetario USA indicavano un tasso di riferimento del 3,75% a fine anno; in quel momento, a metà marzo, ciò avrebbe implicato un ribasso dei tassi di circa un punto percentuale nel corso del 2023.

Nel frattempo, il sistema bancario ha attraversato un periodo di forti turbolenze e quindi le attese circa i tagli dei tassi di interesse si sono ridimensionate. Una tempestiva iniezione di liquidità ha scongiurato in breve tempo una possibile spirale ribassista nel sistema. Le banche saranno sempre legate a doppio filo alle economie in cui operano. E una banca che non gode di fiducia non può sopravvivere a lungo. Tuttavia, allo stato attuale, è difficile immaginare che il settore bancario tradizionale, regolamentato in modo piuttosto severo, si possa trovare all’epicentro di un’altra crisi come quella del 2007-2009, nonostante i recenti problemi di alcuni istituti di credito statunitensi.

Nel frattempo, i timori di una crisi energetica e di una depressione invernale in Europa sono stati del tutto fugati. In Cina l’economia è in ripresa, soprattutto sul fronte interno. E negli Stati Uniti? È soprattutto il settore dei servizi che ostacola la Federal Reserve (Fed) nel suo intento di raffreddare l’economia. I consumi si confermano sufficientemente solidi. Le famiglie infatti sembrano poter contare ancora sui risparmi accumulati durante la pandemia e la robustezza del mercato del lavoro garantisce loro redditi adeguati.

Tale situazione non consente tuttavia di fare passi avanti nella lotta all’inflazione. La misura dell’inflazione preferita dalla Fed, l’indice dei prezzi per la spesa per i consumi personali (PCE core), è pari al 4,6% annuo, cioè oltre il doppio rispetto al target del 2%. In base ad altri parametri, come lo Sticky Price Consumer Price Index della Fed di Atlanta, che comprende beni i cui prezzi cambiano solo di rado, l’incremento dei prezzi si attesterebbe a oltre il 6% a/a.

Su scala globale la crescita sembra al momento più resiliente del previsto, tanto che rispetto ad alcuni mesi fa i timori di una recessione negli Stati Uniti o altrove sono diminuiti. Ma il ciclo economico è indistruttibile? Probabilmente no. Da un lato gli effetti dei recenti rialzi dei tassi di interesse potrebbero gradualmente intensificarsi, dall’altro potremmo assistere a ulteriori interventi sui tassi, soprattutto da parte delle autorità monetarie in ritardo nel processo di normalizzazione, come ad esempio la Banca Centrale Europea (BCE). Inoltre, dopo le tensioni nel settore bancario, le condizioni per la concessione di prestiti nelle principali aree geografiche potrebbero inasprirsi, un trend iniziato già prima degli eventi recenti che hanno interessato alcune banche. Anche nel settore manifatturiero si osservano segni di rallentamento, ad esempio nei nuovi ordinativi, e attualmente la produzione è sostenuta dall’evasione degli ordini arretrati.

Tale dinamica si sta gradualmente ripercuotendo sugli utili aziendali, con fatturati e margini in calo rispetto alle forti cifre dell’anno scorso. In tale contesto le azioni, che sono asset “reali” in quanto rappresentano quote di una società, beneficiano del fatto che le aziende possano trasferire rapidamente gli aumenti di prezzo ai clienti, almeno in una certa misura. In una prospettiva di più lungo termine, la crescita del fatturato e i margini risultano tuttora solidi.

In termini di asset allocation per gli investitori ne consegue quanto segue:

Di recente i mercati azionari, e soprattutto quello europeo, hanno dato l’impressione di poter guardare oltre i motivi di preoccupazione. Tanto più a lungo l’economia darà prova di resilienza, tanto più potranno guadagnare terreno. Tuttavia vi sono ancora numerosi motivi per aspettarsi un notevole aumento della volatilità. Per il momento manteniamo quindi la prudenza e a livello geografico preferiamo i mercati europei e asiatici.
Più sono agitate le acque, maggiori sono le probabilità di una ricerca delle obbligazioni governative come beni rifugio. Resta tuttavia incertezza sul numero di nuovi rialzi dei tassi a opera delle banche centrali. La lotta all’inflazione potrebbe rivelarsi una maratona.

Se la Fed dovesse indicare la conclusione del ciclo di rialzo dei tassi prima di altre banche centrali, potremmo assistere a un apprezzamento di valute quali euro o yen, in quanto la BCE o la Bank of Japan potrebbero inasprire ulteriormente la propria politica monetaria.