L’inflazione non si ferma. Possiamo fare qualcosa? Intervista all’economista Alessandro Arrighi

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Per la Bce l’inflazione resta troppo alta e si prevedono quindi tassi restrittivi finché necessario. “Le decisioni future del consiglio direttivo assicureranno che i tassi di riferimento siano fissati a livelli sufficientemente restrittivi da conseguire un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% nel medio termine e siano mantenuti su tali livelli finché necessario” pubblica la Bce sul suo Bollettino. Ma non è detto che questo tipo di strumento applicato dalla Banca centrale riesca ad arginare rapidamente il fenomeno: ritardo e intensità della trasmissione all’economia reale restano incerti.

In effetti si tratta della conferma di quanto affermato nei giorni scorsi a Madrid dal vicepresidente Luis de Guindos “Non so quale sarà il punto di arrivo sui tassi … la stretta sui tassi avrà massimo impatto sull’inflazione solo nel 2024”. Luis de Guindos in un’intervista al quotidiano Il Sole 24 Ore aggiunge che nonostante la stretta molto forte sui tassi di interesse deciso dalla Banca centrale europea non si è rilevato alcun problema di stabilità finanziaria: “I rendimenti dei titoli di Stato sono saliti, ma gli spread sono rimasti abbastanza stabili”.

Intervistiamo su questo argomento l’economista Alessandro Arrighi.

Intervista ad Alessandro Arrighi

Da quanto tempo sente parlare di inflazione nella sua vita professionale?

“Non dimenticherò mai quelle antiche cene con i miei migliori amici, alla fine degli anni ‘90: io incominciavo ad insegnare Economia aziendale in università, loro per la maggior parte ingegneri; cercavo di convincerli della necessità di una politica monetaria espansionistica”.

Che danni produce l’inflazione?

“L’inflazione riduce il potere d’acquisto e specialmente quelli di stipendi e pensioni e, al contempo, i risparmi, ma non solo: i tassi elevati rischiano di essere un freno per la ripresa e, nel tempo, rischiano di determinare un impatto negativo sulla fiducia e sui consumi. Però non produce solo danni: crea anche sviluppo, benessere, riduce il costo che le imprese pagano per i mutui già contratti, si trasforma persino in una tassa, impropria, poiché, aumentando i prezzi, aumenta la tassazione, quantomeno quella diretta, sui beni, con un effetto positivo sul debito pubblico, parte del quale viene “pagato” dall’inflazione stessa, che lo svaluta”.

Ma oggi che aspetti prevalgono?

“Anno 2023: intanto però le persone scendono in campo contro il caro affitti e tanto a destra, quanto a sinistra, sembrano fare finta di non sapere che quello è il risultato di una politica che negli anni, e tutt’ora, non sembra essere mai andata incontro all’impresa, ma tutta incentrata sul tentativo di controllare l’imprenditore e punirlo per i suoi eventuali errori. Negli anni, ogni impresa ha visto crescere il costo del controllo: adempimenti fiscali, sempre più pesanti e spesso duplicati, complesse procedure per la tutela della privacy, certificazioni per la qualità delle procedure e della sicurezza”.

Forse non è poi cambiata così tanto la situazione da quegli anni ’90 che citava prima

“L’inflazione, spiegavo in quelle cene, in genere si associa ad un aumento generalizzato dei profitti ed è un termometro del benessere di un Paese, per cui ad un provvisorio impoverimento delle masse corrisponde un benessere generale che nel medio termine si va a redistribuire sulla collettività. La politica espansiva monetaria ha proprio questa funzione, ossia quella di inserire liquidità nel sistema per ottenere, in cambio dell’inflazione, sviluppo e svalutazione del debito pubblico.

Così non è, in questo 2023, in cui l’economia è quella di guerra; si parla di stagflazione che è quella condizione limite in cui si ha una decrescita, o comunque difficoltà della crescita del Pil, e contemporaneamente un generale aumento dei costi. L’applicazione di queste due forze all’economia di una famiglia, o di una classe sociale, comporta l’impossibilità di mantenere un dato tenore di vita”. 

Qual è il punto più importante?

“Il problema non sta nel fatto che il costo degli affitti sia aumentato, ma nel fatto che l’impresa sia in crisi e questo abbia determinato una pesante perdita complessiva del potere di acquisto non solo dei redditi, ma anche degli stipendi dei lavoratori, che certamente non possono crescere, laddove il sistema imprenditoriale è in crisi. La lotta sociale che vedeva i sindacati dei lavoratori scontrarsi su ragioni pratiche con le associazioni datoriali, si fa lotta ideologica per contrastare, magari, la crescita di un partito, o per cercare di portare consenso ad un altro, ma, in sostanza, è una guerra, tra poveri: imprenditori che non dormono la notte, assistiti da professionisti demotivati, che fanno fatica ad incassare le proprie parcelle, da una parte, e lavoratori, che spesso fanno persino fatica a trovare la motivazione per andare a lavorare al salario corrente, insufficiente per arrivare a fine mese”.

A livello europeo si è presa qualche decisione utile?

Macchè, gli accordi di Basilea che hanno reso più difficile l’erogazione del credito per le banche ci hanno messo del loro. E hanno alla lunga generato il fallimento del sistema bancario a cui stiamo assistendo, perché quando si danneggia l’impresa, non regge nemmeno il terziario avanzato che ad essa dovrebbe fornire i servizi. In un sistema socioeconomico, in caduta libera la riforma della crisi di impresa, anziché mirare ad ampliare il numero delle aziende, che si salvano, anche attraverso meccanismi di “perdono” degli imprenditori che hanno commesso degli errori e di protezione del credito, ha stabilito una serie di algoritmi che servono solo a fare uscire tempestivamente dal mercato le imprese più deboli”.

Come possiamo concludere questa intervista?

“Senza una seria politica dell’impresa, che favorisca gli investimenti e snellisca adempimenti, costo del controllo, burocrazia, l’unico risultato non può che essere il baratro”.