Mercati tra un presente brioso e un futuro imperscrutabile

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In aprile la spesa per consumi è cresciuta dello 0,8% dopo una rilevazione sostanzialmente piatta in marzo (0,1%), un balzo dovuto principalmente ai servizi finanziari e assicurativi, sanitari, alla ristorazione, ai viaggi.

È cresciuta anche l’inflazione, l’indice dei prezzi delle spese per i consumi personali, seguito con particolare attenzione dalla Fed, è salito dello 0,4% in aprile, 4,7% su base annua (dati “core”, al netto dei prezzi volatili di cibo ed energia), entrambi i valori sono stati superiori a quelli del mese precedente e alle attese. A cambiare le carte della narrazione contribuisce anche il Dipartimento del Commercio che pubblica il rimbalzo degli ordini di beni strumentali (esclusi quelli destinati alla difesa).

Inflazione persistente, consumatori con voglia di spendere, ordini in crescita: nonostante la morsa dei tassi l’economia americana dimostra buone capacità di resistenza, l’ostinazione dei consumatori a consumare e dei prezzi a non scendere sembrano spostare ancora più avanti l’appuntamento con la frenata dell’attività economica e rendono più difficile le decisioni del Board della Fed, il mese prossimo potrebbe decidere di spostare in avanti anche la pausa nel ciclo di aumento dei tassi.

Lo spostamento in avanti della recessione, la prossimità della fine del ciclo restrittivo e una positiva stagione degli utili hanno sostenuto i mercati.

Il registro è ancora quello dell’ottimismo, un’indagine di McKinsey sul sentiment dei consumatori americani indica che la frazione di consumatori che si aspetta una recessione si è mantenuta abbastanza costante nei primi mesi del 2023, semmai si è verificato un aumento dell’ottimismo: il 36% dei consumatori si aspetta una ripresa economica, era il 33% a marzo e il 26% nel giugno 2022.

Un rischio sottovalutato è la cattiva lettura dello scenario economico, ad esempio dando eccessiva attenzione a “ciò che farà la Fed” o restando ancorati al presente dove i “rumori di fondo” rischiano di sovrastare i segnali.

A tre mesi dalla crisi delle banche regionali, si sono ridimensionate le preoccupazioni, i depositi si sono stabilizzati e, come previsto, è rallentata l’erogazione del credito, una dinamica in stridente contrasto con l’intensa dell’attività creditizia del 2022.

Il rallentamento è particolarmente pronunciato nel settore dei prestiti commerciali e industriali, +0,3% da inizio anno rispetto a +7,8% del 2022 ma rallenta anche il credito al consumo, -0,2% da inizio anno contro +4,5% dello scorso anno. L’impulso al credito è fortemente correlato alla crescita del Pil, soprattutto in sistemi dipendenti in larga parte dal credito bancario e per questo è un segnale rilevante: l’indebolimento dell’impulso al credito prelude al rallentamento dell’attività economica, la Fed ne terrà certamente conto, l’obiettivo di Powell è riportare l’inflazione sotto controllo evitando però l’atterraggio duro dell’economia.

Nel nostro scenario principale resta l’ipotesi di una pausa ma non tagli imminenti: mancano ancora segnali di allentamento del mercato del lavoro, le condizioni generali dell’occupazione sono ancora vivaci, crescono i salari e la disoccupazione è su valori storicamente bassi.

Si riconoscono altri segnali nell’andamento del mercato azionario. La concentrazione dell’indice S&P 500 è a livelli storici, le cinque società più importanti ne rappresentano quasi il 20%, le prime dieci il 30%, nel 1985 le prime dieci società rappresentavano poco meno del 20% della capitalizzazione dell’indice.

Tornati sugli scudi grazie alla prossimità della pausa nel ciclo dei tassi e soprattutto per le potenzialità dell’intelligenza artificiale, i titoli della tecnologia sono tornati a guidare il listino.

Guardando allo scenario complessivo, all’asimmetria temporale tra un presente brioso e un futuro imperscrutabile, gli investitori dovrebbero valutare la diminuzione dell’allocazione (anche passiva) nelle azioni americane, fortemente concentrate negli indici domestici e sovra rappresentate in quelli globali, e orientarsi verso le piccole e medie capitalizzazioni, l’Europa e i mercati emergenti dove le valutazioni esprimono più ragionevoli rapporti P/E.