Cina e Usa, le restrizioni potrebbero rallentare la transizione energetica

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Tensioni geopolitiche e la transizione energetica

Le industrie necessarie per la transizione energetica, un trend a lungo termine che caratterizzerà l’economia mondiale, sono notevolmente influenzate dalle tensioni geopolitiche, in particolare quelle tra Stati Uniti e Cina. Negli ultimi anni, i due Paesi e i loro alleati hanno attuato una guerra di dazi e restrizioni, imposti in gran parte sui metalli necessari per la produzione di semiconduttori, veicoli elettrici, pannelli solari, turbine eoliche ed energia nucleare.

L’ultima restrizione è stata imposta dal governo cinese sulle esportazioni di gallio e germanio, due materiali essenziali per le industrie dei semiconduttori, delle telecomunicazioni e dei veicoli elettrici. Dal primo agosto, gli esportatori cinesi dovranno richiedere una licenza per vendere i metalli ad aziende estere, dovendo anche comunicare al governo chi li acquisirà e per quale utilizzo. I metalli, di cui il Paese è il maggior produttore con il 94% dell’output globale, non sono particolarmente rari in natura, ma hanno un elevato costo di estrazione. Di conseguenza, il loro prezzo è al rialzo, con un rincaro del gallio del 27% solamente nella settimana dopo l’annuncio (grafico sopra rappresentato). Le restrizioni alzeranno i costi per le aziende estere, ma potrebbero anche contenere il dominio della Cina se gli altri Paesi cercheranno luoghi di estrazione alternativi. La conseguenza più significativa sarà la risposta dei Paesi occidentali: gli Stati Uniti stanno considerando nuove restrizioni sulle esportazioni di chip alla Cina e l’Olanda aumenterà i limiti sulle esportazioni di macchine litografiche per la manifattura di chip avanzati. La decisione della Cina è una ritorsione per le restrizioni imposte precedentemente da Stati Uniti, Giappone ed Olanda. I Paesi facenti parte della guerra dei dazi giustificano le loro azioni invocando la sicurezza nazionale. Per esempio, gli Stati Uniti sostengono di voler attuare le misure per limitare l’abilità della Cina di produrre tecnologie a scopo militare. Queste tensioni fanno parte di un fenomeno più vasto: la de-globalizzazione. I Paesi del mondo stanno accorciando le catene di fornitura per dipendere meno dall’estero e commerciare principalmente con i loro alleati. Il processo può portare a una riduzione dei rischi geopolitici, ma le continue restrizioni e l’aumento dei dazi sono nocivi per le aziende domestiche: aumentano i costi e riducono la disponibilità dei materiali. Di conseguenza, il Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, è appena stata in Cina per tentare di favorire il commercio e la comunicazione tra i due Paesi, ma con difficoltà. Il governo cinese stenta a credere alla narrativa secondo la quale gli Stati Uniti stanno cercando di diversificare le loro catene di approvvigionamento e non di allontanarsi permanentemente dal commercio con la Cina. Senza un miglioramento del rapporto tra i due Paesi, le restrizioni continue potrebbero rallentare la transizione energetica. Tuttavia, il trend rimane attraente per gli investitori: secondo alcuni analisti, solo negli USA dovrebbe coinvolgere $3 migliaia di miliardi di capitale in 10 anni.

NUOVI CONTROLLI SULLE BANCHE AMERICANE

A marzo, la crisi delle banche regionali americane (grafico sotto rappresentato), iniziata con il crollo di Silicon Valley Bank, ha suscitato timori sulla stabilità del sistema bancario. Di conseguenza, il capo regolatore della Federal Reserve ha annunciato una serie di nuove misure che potrebbero essere proposte durante l’estate per rendere le banche più resilienti agli shock, sia quelli prevedibili che quelli inaspettati.

I nuovi requisiti saranno incentrati sulle istituzioni più grandi, ovvero quelle con maggiore rischio di generare crisi sistemiche. Innanzitutto, le grandi banche dovranno includere nei loro bilanci un ulteriore 2% di capitale, oltre all’8% già richiesto: altri $2 di capitale per ogni $100 di asset ponderati per il rischio. Il capitale serve ad assorbire le perdite, ad esempio quelle subite sui prestiti deteriorati. Inoltre, dovranno sottoporsi a stress test più complessi, che misureranno la loro abilità di fronteggiare gli shock. La Federal Reserve ha anche annunciato misure per limitare la retribuzione dei dirigenti e aumentare i requisiti di liquidità, che servirà a supportare le banche in caso di eventuali fughe di depositi. L’ultima proposta tratta il metodo di calcolo del rischio degli asset, il quale secondo la Fed dovrebbe essere armonizzato a livello globale. Alcune grandi banche hanno reagito negativamente all’annuncio, ricordando che durante i crolli di marzo sono state loro stesse ad emettere capitale per supportare le istituzioni in crisi, ad esempio con i $30 miliardi depositati in First Republic Bank. Inoltre, secondo quest’ultime, la crisi delle banche regionali non è stata frutto di un problema sistemico, ma semplicemente degli errori di certi regolatori e dirigenti bancari. Le grandi banche lamentano il fatto che le misure più stringenti vengano applicate ai loro bilanci. Tuttavia, la Fed ha annunciato che potrebbe abbassare il limite di asset oltre il quale le banche subiranno più controlli, portandolo a $100 miliardi. Inoltre, alcuni requisiti che in passato venivano impartiti solo sulle grandi banche, saranno richiesti anche per quelle di media misura. Infatti, la Fed ritiene che una crisi sistemica, che avviene tramite il fallimento di una banca e il conseguente “contagio” ad altre, potrebbe essere causata anche da banche minori. Purtroppo, l’aumento di capitale richiesto nella proposta potrebbe ridurre la quantità di prestiti emessi dal sistema ed alzarne il costo, rallentando l’economia. Ad ogni modo, secondo la Fed, la redditività delle banche, in aumento significativo dal 2021, è abbastanza elevata per sopportare i cambiamenti. In sintesi, proteggere la solidità del sistema bancario è una priorità per l’economia del Paese.