Il Fondo Monetario Asiatico: chimera o realtà?
Nell’aprile 2023 il primo ministro della Malaysia, Anwar Ibrahim, ha riesumato l’idea di un Fondo Monetario Asiatico (FMA). La creazione di questo organo era stata prospettata per la prima volta nel 1997 dal Giappone, all’indomani della crisi finanziaria asiatica.[1]
Un Fondo Monetario Asiatico avrebbe quali obiettivi primari la promozione della stabilità finanziaria, l’offerta di linee di credito d’emergenza, la facilitazione degli accordi di swap su valute e il miglioramento della cooperazione regionale in ambito monetario e finanziario. Permetterebbe ai paesi asiatici di affrontare i problemi legati alla bilancia dei pagamenti, le crisi valutarie e le altre sfide finanziarie comuni a tutte le economie locali. La proposta era stata purtroppo accolta con freddezza per paura che potesse destabilizzare l’architettura finanziaria globale, pregiudicando l’autorità e l’efficacia del Fondo Monetario Internazionale. Tuttavia, la necessità di risolvere le vulnerabilità della regione non è svanita, anche perché le soluzioni proposte dal FMI non sono sempre necessariamente adatte a risolvere i problemi e le sfide specifiche dei paesi asiatici.
Il desiderio di maggiore autonomia finanziaria per la regione, di una più stretta cooperazione tra i paesi che la compongono e di una rete di sicurezza finanziaria più robusta nell’Asia hanno portato, nel 2010, al lancio della Chiang Mai Initiative Multilateralization (CMIM), un progetto che ha coinvolto l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN) più Cina, Corea del Sud e Giappone, e alla creazione di vari accordi bilaterali di swap su valute. Numerosi membri hanno in seguito utilizzato questi accordi di swap per coprire fabbisogni di liquidità a breve termine – ad esempio la Thailandia e la Corea del Sud durante la crisi finanziaria globale del 2008-2009 e l’Indonesia, le Filippine e la Malaysia tra il 2013 e il 2014 per stabilizzare la volatilità dei rispettivi mercati finanziari.
Sebbene questi meccanismi contribuiscano alla cooperazione finanziaria della regione e forniscano un certo livello di supporto, risentono di limiti di copertura, vigilanza e capacità di gestione delle crisi rispetto a quelle che potrebbero essere le capacità di un vero e proprio Fondo Monetario Asiatico. Ad esempio, la Chiang Mai Initiative non include lo Sri Lanka e il Pakistan, paesi spesso vittime di crisi finanziarie malgrado la loro adesione a numerosi programmi del FMI.
Nell’attuale contesto geopolitico un FMA è visto come un mezzo per ribilanciare l’influenza delle istituzioni finanziarie globali e dare ai paesi asiatici maggiore voce in capitolo nei processi decisionali, in particolare alla luce del significativo miglioramento registrato dalla qualità dell’istruzione e della governance dal 1997 ad oggi. Alcuni paesi asiatici ritengono che il Fondo Monetario Internazionale tenda a favorire gli interessi occidentali e durante la crisi finanziaria asiatica avevano infatti rimostrato, perché le loro esigenze e problemi non erano stati tenuti in sufficiente considerazione. In effetti, secondo molti l’approccio “taglia unica” del FMI potrebbe essere più nocivo che utile.
Vista la forza della Cina e la sua volontà di acquisire un ruolo di maggior rilievo nel panorama finanziario globale, non sorprende che l’idea di un FMA abbia l’appoggio del Presidente Xi Jin Ping. Oggi la Cina è il più grande prestatore bilaterale del mondo e non si trova d’accordo con le condizioni del FMI. Ha espresso l’intenzione di fornire aiuto finanziario ai paesi insolventi, ma si aspetta anche che le istituzioni finanziarie multilaterali partecipino a queste ristrutturazioni. Senza la loro partecipazione, la Cina rifiuta di accettare uno sconto sul valore del debito nei negoziati di ristrutturazione assieme ad altri creditori privati. Invece, a gennaio 2023 Pechino ha offerto allo Zambia una moratoria biennale sul rimborso di debito e interessi e prosegue i negoziati con lo Sri Lanka per il ripianamento del debito.
Un Fondo Monetario Asiatico potrebbe inoltre aiutare la Cina a realizzare le sue ambizioni di internazionalizzazione del renminbi, specialmente alla luce del fatto che altri Paesi come Russia, Brasile e Unione Europea stanno cercando di sottrarsi alla dipendenza dal dollaro statunitense.
Per gli investitori nel debito dei mercati emergenti la prospettiva di un FMA ha ripercussioni importanti. A breve termine, mentre pianifica la trasformazione dell’architettura finanziaria, Pechino potrebbe essere ancor più restia ad accettare sconti nelle ristrutturazioni del debito. Le trattative di rimborso del debito sovrano rischiano quindi di diventare ancora più complesse e lunghe di quanto non siano attualmente.
A medio termine, un nuovo Fondo Monetario Asiatico permetterebbe ai paesi della regione, e in particolare a quelli che non fanno parte della Chiang Mai Initiative, di diversificare gli impegni finanziari e ridurre la vulnerabilità a pressioni esterne e favoritismi indesiderati. Ciò potrebbe innescare un innalzamento dei rating dei rispettivi titoli sovrani, migliorando la resilienza delle relative valute. Allora perché non approfittarne, sfruttando questo ulteriore strumento di protezione contro i momenti di crisi?