Con la storica firma del Trattato sulla biodiversità per le aree marine al di fuori delle giurisdizioni nazionali, o Trattato per la protezione dell’alto mare, le Nazioni Unite fanno un passo avanti importante nella protezione delle aree marine attualmente non soggette ad alcuna giurisdizione. Una protezione fondamentale, anche per i Paesi africani costieri che soffrono attività di pesca ed estrazione illegale.
Sebbene lo scopo del trattato non sia quello di limitare le attività di pesca, questo suscita speranze per una gestione più sostenibile delle risorse nelle zone costiere, anche perché prevede la creazione di aree marine protette che permetteranno di ridurre o vietare alcune attività umane anche in acque internazionali. Attualmente solo l’1% delle acque d’alto mare è protetto, il che le rende vulnerabili allo sfruttamento eccessivo: l’alto mare inizia dove finiscono le Zone Economiche Esclusive, a circa 370 chilometri dalla costa, e non è soggetto ad alcuna giurisdizione. Con questo nuovo trattato ci saranno ora regole per la protezione della biodiversità marina e degli oceani.
Il Trattato stabilisce che non esistono negli oceani zone non soggette a regolamentazione.
Una delle misure più importanti di questo accordo riguarda l’obbligo per le imprese o gli Stati di realizzare studi di impatto prima di sviluppare progetti economici in acque internazionali. Secondo gli analisti, l’attuazione di questo Trattato rappresenta un passo essenziale per raggiungere gli obiettivi fissati alla Cop15 di Montreal lo scorso dicembre, volti a proteggere il 30% delle terre e dei mari entro il 2030.
Come ricordato dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, l’obiettivo di questo trattato è anche quello di “contrastare le tendenze distruttive che minacciano la salute degli oceani”, cosa che per l’Africa consiste principalmente nella pesca eccessiva, un fenomeno che colpisce molti paesi dell’Africa occidentale: proprio la scorsa settimana le autorità gambiane, con il sostegno della Ong Sea Sheperd, hanno bloccato un peschereccio italiano legato all’azienda siciliana Asaro che pescava a largo del Gambia utilizzando reti non regolamentari.