La Cina rallenta, le implicazioni per l’Europa

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Quest’anno la crescita cinese è rimasta inferiore alle aspettative, tanto da obbligare governo e banca centrale a varare incentivi mirati a sostenere i settori in maggior difficoltà come l’immobiliare e i consumi. Le ragioni di questa debolezza sono molteplici: un settore immobiliare che risente ancora della crisi cominciata due anni fa, la mancanza di un welfare per ampie fasce della popolazione durante la pandemia e, probabilmente, anche le ripercussioni indirette delle tensioni con gli Stati Uniti.

Se a maggio il consenso degli economisti riportato da Bloomberg (vale a dire la media delle stime di un ampio panel di economisti) vedeva la crescita per quest’anno al 5,7%, ora l’aspettativa è di circa il 5%. Per l’anno prossimo le attese sono passate dal 5% al 4,5%. Questi livelli, sebbene nominalmente elevati, creano qualche incertezza in considerazione dell’elevato indebitamento delle imprese, oltre che degli sforzi infrastrutturali e di creazione di una classe media del Paese. Anche il mercato azionario cinese ha risentito di questo andamento perdendo diversi punti percentuali da inizio anno, a fronte di borse globali che hanno registrato rialzi a doppia cifra.

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La Cina rappresenta ormai una superpotenza economica quasi al pari degli Stati Uniti e da sola genera oltre un quinto del PIL globale, quindi ogni difficoltà va considerata anche in termini di potenziali ramificazioni a livello globale e, in particolare, per l’Europa. Infatti, le importazioni cinesi provenienti dall’Europa sono diminuite del 15% se misurate in dollari. L’Europa è uno dei principali esportatori a livello mondiale e quindi è ovviamente destinata a risentire della minor domanda
da parte della Cina.

Complessivamente, la zona euro vanta esportazioni di quasi 3 mila miliardi di euro l’anno, circa il 20% del suo prodotto interno lordo, con un surplus che vale il 2-3% del PIL. In queste statistiche la Cina è cresciuta moltissimo: se alla fine degli anni ’90 rappresentava circa il 2% delle nostre esportazioni, oggi ha raggiunto l’8% superando Paesi come la Svizzera. Inoltre, l’importanza della Cina si riflette anche su altri Paesi asiatici con i quali ha forti legami commerciali.

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L’esposizione è particolarmente rilevante per la Germania, le cui esportazioni verso la Cina rappresentano quasi il 3% del PIL; per l’Italia si tratta del 2%, come per la Francia. Mediamente le società quotate hanno una maggior esposizione alla Cina, circa il 7% del fatturato secondo una ricerca di Morgan Stanley. In ogni caso, si tratta di numeri significativi ma gestibili anche in una situazione di rallentamento, sebbene alcuni settori come il lusso e le materie prime siano più colpiti.

Un’altra dimensione su cui la debolezza dell’economia cinese potrebbe incidere è il cambio del renminbi, che potrebbe dare maggior competitività alle aziende. Questo rischio è particolarmente rilevante per le società industriali e il settore automobilistico, come dimostrato dall’ingresso nel mercato europeo di vari produttori cinesi tra cui BYD nel settore delle auto elettriche, che presenta un vantaggio in termini di costi stimato nel 25% rispetto agli operatori tradizionali anche grazie al più facile approvvigionamento di batterie.

Proprio il settore automobilistico, che si attesta tra i più strategici e si ritiene rappresenti il 6% dell’occupazione della zona euro includendo l’indotto, rappresenta un buon esempio dei rischi che sta correndo l’industria europea. Secondo le nostre stime, la quota di mercato globale dei produttori cinesi passerà dal 17% al 33% entro il 2030 a scapito dei produttori tradizionali, soprattutto europei.

In conclusione, una fase di debolezza dell’economia cinese nell’immediato ha più implicazioni dirette per le borse europee che per l’economia. Da inizio anno i titoli più esposti alla Cina ne hanno risentito, anche se nel complesso l’azionario della zona euro ha avuto una performance in linea con quella dell’azionario globale. Ma l’economia europea a lungo termine continuerà a risentire della
competitività cinese, che nel tempo si evolve da pura concorrenza sui costi alla tecnologia avanzata. La debolezza della domanda interna cinese, anche per via del cambio, crea per i colossi cinesi uno stimolo in più per accelerare l’ingresso sul mercato europeo.