Il potere dei chip e il ruolo nella transizione energetica

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I chip sono ormai diventati una commodity a sé stante che si rivelerà fondamentale per le energie rinnovabili, l’elettrificazione dei trasporti e le reti intelligenti. Il settore vive una situazione di stasi da diversi anni, dopo che la pandemia di Covid ha depresso la domanda e provocato un crollo dei prezzi.

Adesso tanto la domanda quanto l’offerta dovrebbero ricevere impulso da una combinazione di fattori, tra cui la prospettiva di nuovi e imponenti impianti di produzione. Questo aspetto fa dei chip una scommessa ideale per le strategie multi-asset, che si somma alla loro crescente importanza nei prodotti d’investimento sostenibile su misura.

Negli ultimi 12 mesi i produttori di chip hanno messo a segno un rialzo del 30% circa, sovraperformando ampiamente gli indici azionari globali (+18%). Il Philadelphia Semiconductor Index (SOX) ha registrato un guadagno ancora maggiore (+40%).

L’importanza cruciale della disciplina dell’offerta

Quando la crescita della “domanda di bit” (la potenza di calcolo totale dei chip) è scesa su livelli a cifra singola nel 2022 e nel 2023, dopo aver registrato un’espansione di oltre il 20% nel 2020 e nel 2021, la disciplina dell’offerta ha giocato un ruolo determinante.

Per il 2024 si prevede una solida ripresa della domanda, sostenuta dalla tendenza positiva in atto nel mercato dei PC, dalla ripresa della crescita dei server e dall’ondata di entusiasmo per l’intelligenza artificiale (IA), che da sola, probabilmente, accrescerà la domanda globale di bit del 5%.

La causa principale del rally del 2023 è da ricercarsi nell’ottimismo riguardo al 2024, anche se di recente abbiamo assistito a una battuta d’arresto del settore, dovuto al riassorbimento di alcuni squilibri dell’era Covid che ha comportato un indebolimento del pricing power delle aziende in grado di spedire i chip.

Il ruolo nella transizione energetica

I semiconduttori sono un importante volano di innovazione e sono essenziali per la transizione energetica, essendo componenti fondamentali di pannelli solari, veicoli elettrici, inverter e dispositivi di stoccaggio.

I semiconduttori hanno molte caratteristiche simili a quelle delle materie prime o commodity, come la quotazione sui mercati, la fungibilità, la standardizzazione, la liquidità e l’interscambio sui mercati globali. Tuttavia, a differenza delle commodity minerarie o agricole, i semiconduttori sono prodotti dall’uomo e, all’aumentare della complessità e delle caratteristiche di progettazione, non costituiscono più un mercato omogeneo. Chiunque può produrre una DRAM, ma solo un’azienda è in grado di produrre un’unità di elaborazione grafica (GPU) che serve al funzionamento dell’IA.

Inoltre, una nuova importante caratteristica dei semiconduttori come commodity è la loro rilevanza storica. Un tempo si combattevano guerre per l’oro, il rame e il minerale di ferro. Oggi, oltre al rischio di guerre per il litio e il cobalto necessari per la produzione di batterie, si registrano anche tensioni strategiche e guerre commerciali tra Stati Uniti e Cina per (l’accesso a) i semiconduttori.

Possiamo tranquillamente affermare che i semiconduttori sono beni di prima necessità per l’economia mondiale. Sono considerati beni di importanza strategica per lo sviluppo economico futuro, ma oggi la maggior parte della produzione è concentrata in Asia. Gli Stati Uniti e l’Europa occupano una posizione marginale, ma almeno l’Europa ha la carta vincente di essere all’avanguardia nel campo della litografia necessaria per facilitare l’ulteriore miniaturizzazione.

Inevitabili tensioni internazionali

Con questo crescente potere di mercato, i semiconduttori diventeranno inevitabilmente oggetto di tensioni internazionali. Ora che il libero commercio mondiale non è più un fatto assodato, le principali economie vogliono essere indipendenti nell’assicurarsi le proprie forniture non solo di energia, ma anche di chip.

È rischioso affidare la produzione di chip a un soggetto esterno, tanto più a un produttore di Taiwan, un’isola rivendicata dalla Cina. I politici si sono finalmente resi conto di questa vulnerabilità e hanno elaborato grandi piani per ridurla. Le autorità europee e statunitensi hanno iniziato a offrire ingenti sovvenzioni per la costruzione di fonderie sul proprio territorio nazionale.

Lo dimostra il Chips Act europeo, entrato in vigore il mese scorso, che mira a investire oltre 43 miliardi di euro con l’obiettivo ambizioso di tornare a una quota di mercato del 20% nella produzione globale di chip dall’attuale livello del 10%, la maggior parte del quale è rappresentato da chip di fascia bassa.

Il Chips and Science Act statunitense è più orientato a impedire che i chip avanzati arrivino in Cina, ma anche in questo caso le fonderie sono incentivate a produrre chip all’avanguardia negli Stati Uniti. Delle tre fonderie più avanzate, Intel prevede di costruire due fabbriche in Germania per un costo di 30 miliardi di euro, compresi 10 miliardi di euro di sovvenzioni, mentre TSMC investirà 40 miliardi di dollari in due fabbriche in Arizona entro il 2026. Samsung investirà 17 miliardi di dollari in una fabbrica negli Stati Uniti, ma non ha ancora piani per l’Europa.

Un premio superiore alla media

Quindi, bisogna puntare senza esitazione sui chip? Per gli investitori tematici non è facile valutare le prospettive a breve termine, perché una ripresa potrebbe essere già scontata nelle quotazioni, il pricing power dovuto alla scarsità dell’offerta ha superato il picco e i multipli basati sul fatturato sono aumentati. L’importanza strategica a lungo termine del settore, tuttavia, giustifica chiaramente un premio superiore alla media storica per le imprese che hanno una proprietà intellettuale difendibile.

Infine, con l’evoluzione in atto a livello mondiale, che fa dei chip una commodity di importanza strategica, riteniamo auspicabile la nascita di un mercato dei futures sui chip di memoria. In virtù dei suoi cicli differenziali, un mercato del genere offrirebbe notevoli benefici di diversificazione. Potrebbe offrire anche un’assicurazione contro ulteriori sconvolgimenti geopolitici, come faceva un tempo il petrolio.

Sebbene molte fabbriche utilizzino enormi quantitativi di acqua demineralizzata, grazie al fatto di essere basati sul silicio i chip di memoria hanno un’impronta di carbonio inferiore a quella del petrolio.