Politica monetaria, perché gli Usa gettano acqua sul fuoco?

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A due settimane dallo scoppio del fronte mediorientale, l’evento che mi ha colpito maggiormente finora sono state le parole utilizzate da Biden la mattina di lunedì 16 ottobre: “Invadere la Palestina sarebbe un errore madornale, non ripetete i nostri stessi errori”.

Sappiamo tutti infatti come è andata a finire in Iraq e Afghanistan e come la fama di guerrafondai gli americani se la siano guadagnati sul campo, in anni in cui hanno approfittato di una posizione di forza militare per esportare il proprio arsenale bellico facendo lauti affari con tutti. Nel caso del conflitto israeliano attuale, invece, stanno cercando di gettare acqua sul fuoco. Per quale motivo?

Secondo noi, è perché, in questo momento storico, non si possono permettere un allargamento del conflitto in altre direzioni (in particolare andando a cercare una reazione da parte dell’Iran filo-palestinese) non solo per non fornire l’antefatto perfetto per un ingresso in guerra dell’esercito a stelle e strisce, ma anche perché un’escalation porterebbe probabilmente il prezzo del petrolio alla cifra record di 130-150 dollari al barile. Il che imporrebbe alla Fed di tornare immediatamente sui suoi passi impedendole di tagliare i tassi, come previsto dai dot plots, nel 2024. Addirittura, potremmo anche trovarci, in uno scenario catastrofico, con la banca centrale costretta ad alzare nuovamente il costo del denaro per impedire il tracollo del potere d’acquisto.

Ecco spiegata la ragione per cui il mercato – dopo avere ascoltato le rassicurazioni da parte del Presidente Usa – non ha stornato per la paura di un’escalation ma ha proseguito la sua incerta salita.

Infatti, ciò che Joe Biden vuole evitare (ed è il motivo per cui è volato a Tel Aviv) è che i rendimenti dei Treasuries (in particolare quelli sulla parte breve e media della curva) tocchino nuovi record al rialzo costringendolo a mettere a bilancio un doppio fallimento: la caduta (a quel punto inevitabile) di Wall Street, nonché un costo esorbitante degli interessi che cittadini e imprese americane si troverebbero a dover pagare sulle obbligazioni (governative e Corporate) di nuova emissione con conseguente rialzo del tasso di fallimenti. Per tutte questi motivi, la Fed non può far altro se non trovare un sentiero che la riporti laddove i dot-plots e le previsioni le dicono che sarà il prossimo anno: su una strada accomodante. Come? Disinnescando subito questa bomba ad orologeria dei rendimenti record che vanno a influenzare – loro sì- questa nuova era di (geo)politica monetaria che stiamo attraversando. Parliamo di (geo)politica monetaria perché le decisioni di geopolitica americana sono ormai influenzate soprattutto dalle politiche monetarie dalla Fed, a loro volta dipendenti dal prezzo del petrolio e dai rendimenti dei Treasuries. Non possono permettersi di tenerli a questi livelli elevati per troppo tempo.

Siamo sufficientemente convinti pertanto che Israele non entrerà massicciamente nella Striscia di Gaza con il rischio di affondare, con l’alta probabilità di un conflitto su scala globale, l’economia americana con la peggior recessione degli ultimi cinquant’anni.

Il punto ora è: quali scenari si aprono e con quali probabilità di verificarsi?

A nostro modo di vedere, sono tre le situazioni che potrebbero verificarsi ora: lo scenario catastrofico, lo scenario attuale (che prosegue) con un’economia robusta e lo scenario Goldilocks.

Il primo – il peggiore, quello descritto sopra – è quello che ha minore possibilità di verificarsi (10%).

Il secondo, quello attuale, sconta una probabilità del 35% e un’economia ancora in salute (no landing), inflazione sotto controllo, consumi forti. In questo contesto, per prendere posizione sul mercato, sarà importante decifrare correttamente i risultati trimestrali in uscita in questi giorni che ci diranno quali sono i settori e le aziende che hanno maggiormente beneficiato della (ancora) forte propensione agli acquisti di cittadini e imprese. Dalla nostra analisi, emerge come la tecnologia – che ha corretto molto da fine luglio – potrebbe essere interessata da una nuova ondata di fusioni e acquisizioni, anche se crediamo che il prossimo rally sarà fatto da nomi legati alle Large e Mid cap in quanto gli investimenti in GPU e CPU (chip innovativi) rimangono fondamentali per l’utilizzo dei software di Intelligenza Artificiale, che porterà ingenti investimenti in termini di Capex per tutte le aziende medio-piccole e che stimolerà l’appetito delle giant cap.

Gli indici azionari, invece, avrebbe spazio di risalita solo qualora scendessero i rendimenti obbligazionari con il nuovo refrain del good is good a patto che l’inflazione rimanga sotto controllo.

Tuttavia, è il terzo e ultimo scenario (Goldilocks) quello che ha le maggiori probabilità di avverarsi secondo noi (55%). Lo preferiamo agli altri perché crediamo che la fase di tassi elevati possa nel breve danneggiare l’economia e pertanto l’inflazione sia destinata a rientrare a causa di minore crescita e minore spesa. Perché se da un lato è vero che i consumi si confermano elevati e il tasso di disoccupazione rimane basso, dall’altro vediamo comunque segnali di cedimento nei mutui immobiliari.

I mercati azionari in tale contesto potrebbero continuare un movimento “laterale” sostenuto da trimestrali forti e dalle parole rassicuranti di una Fed nuovamente dovish nonché pronta a tagliare (nuovamente) i tassi.