Corporate governance nei mercati emergenti, i casi di India e SudCorea
Quando si parla di corporate governance, l’indipendenza dei Consigli di amministrazione è considerata una best practice standard. A gennaio 2023, il 53% delle società che compongono l’indice MSCI Emerging Markets (MSCI EM) ha istituito un CdA con una maggioranza indipendente, ovvero con più della metà dei membri indipendenti dal management. Anche l’identità del Presidente del Consiglio di amministrazione è un elemento cruciale per stabilire l’indipendenza del CdA. Gran parte delle società dei mercati emergenti ha separato i ruoli del CEO e del Presidente del CdA. Tuttavia, la maggioranza delle società che compongono l’indice MSCI EM non ha nominato un Presidente del CdA indipendente dal management della società né un lead independent director.
Inoltre, gran parte delle società rappresentate nell’indice MSCI EM non forniscono sufficiente trasparenza rispetto ai criteri di valutazione della performance dei dirigenti e alla politica di remunerazione. Solo il 13% delle società dell’indice MSCI EM ha svolto regolari votazioni Say-on-Pay alle assemblee degli azionisti, rispetto a circa il 97% delle società dell’MSCI Europe e il 92% dell’ MSCI US. Di questo 13%, solo il 4% ha dimostrato che gli indicatori di sostenibilità a lungo termine fanno parte della valutazione delle performance del management.
Un’analisi delle caratteristiche standard non è però sufficiente per capire e valutare la qualità della corporate governance nei mercati emergenti. Secondo la nostra esperienza, andrebbe condotta un’ulteriore analisi che consideri la cultura aziendale delle società, nonché il contesto specifico in cui operano. A gennaio 2023, circa il 70% delle società che compongono l’indice MSCI EM ha azionisti di controllo. Questa struttura potrebbe sollevare timori relativi all’influenza degli azionisti di controllo sulla direzione della società e al potenziale conflitto con gli interessi degli azionisti di minoranza. Affrontare questi timori richiede informazioni specifiche per ogni mercato e ogni società.
Il caso dell’India
La maggioranza delle più grandi società quotate in India, in termini di capitalizzazione di mercato, sono promoter firm (società con una proprietà concentrata o i cui fondatori hanno ancora un’influenza significativa sulla direzione della società pur non essendo più azionisti di controllo o dirigenti). Per gli investitori esterni le promoter firm possono comportare alcuni rischi di corporate governance, come potenziali conflitti di interesse, mancanza di trasparenza e controllo sulle transazioni finanziarie tra la società e il promoter o le entità controllate dal promoter, nonché una limitata tutela dei diritti degli azionisti di minoranza. Guardiamo con particolare attenzione alla disclosure sulle partecipazioni dei promoter e sulle “partecipazioni costituite in pegno” esistenti. Una mancanza di trasparenza rispetto alle partecipazioni costituite in pegno potrebbe consentire ai fondatori di continuare a controllare le proprie società mentre una parte significativa delle loro azioni sono state costituite in pegno ai finanziatori. In alcuni casi, la costituzione in pegno di azioni potrebbe anche consentire ai promoter di agire contro i migliori interessi degli investitori. A nostro avviso, i rischi di corporate governance nelle promoter firm possono essere mitigati da un Consiglio di Amministrazione ben rodato, insieme a una migliore trasparenza rispetto alla struttura azionaria, nonché ai flussi finanziari tra le entità controllate dai promoter.
Un esempio di promoter firm è Infosys, una delle società di servizi e consulenza IT più grandi dell’India. Oggi, salvo per la mancanza di un Presidente di CdA indipendente, Infosys ha una struttura di corporate governance migliore rispetto ad altre società simili, con un Consiglio di Amministrazione composto interamente da amministratori indipendenti a parte l’Executive Chairman Nandan Nilekani e l’attuale CEO Salil Parekh. Il funzionamento del CdA è supportato da comitati pienamente indipendenti. La società ha anche un buon livello di trasparenza rispetto alla propria corporate governance, le attività del Cda e del management, come anche le transazioni con parti collegate.
Il caso della Corea del Sud
Otto delle dieci maggiori società quotate in Corea del Sud sono aziende a conduzione familiare o entità affiliate di gruppi familiari. In termini di struttura di corporate governance, queste società soddisfano gran parte dei requisiti: maggioranza indipendente nei Consigli di amministrazione, ruoli distinti per CEO e Presidente del CdA, comitati a livello di CdA e una struttura di capitale basata sul modello “un’azione – un voto”. Tuttavia, rimangono dei dubbi sul fatto che la corporate governance nelle imprese familiari sia davvero indipendente dall’influenza della famiglia fondatrice.
Negli ultimi anni, diversi gruppi familiari coreani hanno iniziato a migliorare le attività di engagement con gli investitori su temi di corporate governance, in particolare nel periodo che precede l’assemblea annuale degli azionisti. Inoltre, recentemente abbiamo assistito a una tendenza delle società coreane a creare Comitati per la sostenibilità/ESG a livello di CdA per supervisionare l’attuazione delle misure relative alla sostenibilità da parte delle società. Le dieci principali società coreane quotate hanno tutte un Comitato per la sostenibilità con almeno due membri su tre che sono amministratori esterni.
In gran parte di queste società, il Comitato per la sostenibilità è composto da membri con esperienza pregressa nel settore in cui è attiva la società. Tuttavia, la presenza di amministratori con lunga esperienza in un ambito legato all’ambiente, al lavoro o ai diritti umani è molto meno comune. Ciò non è in linea con la nostra raccomandazione che i Comitati per la sostenibilità a livello di CdA abbiano una comprovata expertise operativa in ambiti legati alla sostenibilità. Rimane dunque da vedere se le società coreane quotate si adegueranno a questa best practice.