Il ritorno delle valute emergenti negli investimenti

Jean-Marie Mercadal, Chief Executive Officer di SYNCICAP ASSET MANAGEMENT -

Uno dei primi provvedimenti che il nuovo presidente dell’Argentina, Javier Milei, ha dichiarato di voler attuare è l’adozione del dollaro statunitense come valuta di stato, con il conseguente abbandono del peso. Essendo entrato in carica da nemmeno una settimana al momento in cui si scrive, è impossibile determinare se questa operazione fosse solamente un proclama elettorale, se avrà successo o se sarà attuata solo in parte; tuttavia, è sufficiente per stimolare una riflessione sulle valute emergenti, sulle loro debolezze, ma anche sui loro punti di forza e, quindi, sulle opportunità che queste possono offrire.

Per fare un primo esempio, si consideri proprio l’Argentina, un paese che, per buona parte della sua storia, è stata una caricatura all’estremo proprio della debolezza e della forza dei mercati emergenti. Infatti, intrinsecamente, ha le potenzialità per essere molto ricca, ma per svariati decenni la governance che l’avrebbe dovuta guidare è stata disastrosa, contraddistinta da clientelismo, corruzione e da una mancanza di vision di lungo termine, che ha portato a numerosi default e conseguenti ripianificazioni del debito nazionale. Tutto ciò, non poteva fare altro che provocare un deflusso di capitali, in particolar modo dal peso al dollaro, causando uno dei tassi d’inflazione più alti al mondo, che recentemente è arrivato al 140% annuo, portando la valuta locale al collasso. Per questo motivo, per quanto possa sembrare ambizioso, vale la pena osservare attentamente a come si svilupperà questo processo di dollarizzazione, anche perché potrebbe aprire una nuova strada a nazioni emergenti che stanno affrontando problemi strutturali simili, sebbene non così esacerbati, come la fuga di capitali e una mancanza di fiducia verso la valuta locale.

Ma, all’interno dei mercati emergenti, quali sono quelli che dovremmo monitorare più attentamente? Per rispondere a questa domanda, si può prendere in considerazione il GBI-EM, ovvero l’indice delle obbligazioni sovrane di questa categoria di paesi. Questo comprende 20 obbligazioni diverse, ben distribuite tra Asia (35%), America Latina (29%), Est Europa (27%) e Sud Africa (8%). Altre aree geografiche, come il Medio Oriente e la Turchia hanno un peso molto marginale, mentre gli stati con il peso maggiore (compreso tra il 9% e il 10%) sono il Brasile, il Messico, la Malesia, la Polonia e l’Indonesia.

Ma se si sta parlando di valute, perché prendere spunto da un indice sulle obbligazioni? La risposta a questa domanda è molto semplice: l’andamento dei bond influisce moltissimo sull’andamento delle valute dei paesi che li emettono rispetto a quelli delle valute più forti come l’euro e il dollaro. Nel caso degli emergenti elencati in precedenza, le obbligazioni sovrane hanno tutte un rating medio compreso tra BBB e BBB+, con un rendimento attorno al 6,50%. A questi dati, si applica poi un’analisi di Bloomberg – che utilizza l’indice “Big Mac” per cercare di valutare o stimare il valore delle valute in termini di parità di potere d’acquisto – e quello che si ottiene è che tutte le “currency” contenute nell’indice visto sopra sono sottopesate. In particolare, le più scontate sono il rand sudafricano e la lira turca, con sconti teorici intorno al 60%; ma anche il ringgit malesiano e la rupia indonesiano presentano un profilo interessante, con sconto attorno al 50%. Le più “care”, invece, sono il peso colombiano e il real brasiliano (tasso di sconto del 20% e del 10% rispettivamente). Il motivo per cui si è creata questa sottovalutazione è da ricercare nell’inflazione che ha colpito le nazioni emergenti prima ancora che arrivasse nei mercati sviluppati e, soprattutto, nel forte apprezzamento del dollaro. Tuttavia, questa tendenza negli ultimi mesi sembra essersi invertita e le valute emergenti sono tornate a sovraperformare, con questo trend che si potrebbe consolidare in quanto si poggia su un’ipotesi molto solida, ovvero che la Federal Reserve abbia messo in pausa l’inasprimento della politica monetaria degli Stati Uniti, con la possibilità di assistere addirittura a un taglio dei tassi attorno alla metà del 2024. Da un punto di vista storiografico, una maggiore debolezza del dollaro ha sempre rappresentato un vento favorevole per le valute dei mercati emergenti; inoltre, anche le banche centrali di queste nazioni hanno dimostrato di saper gestire piuttosto bene il riacuirsi dell’inflazione, aumentando i tassi d’interesse di base con discreto anticipo sui paesi occidentali e riuscendo a riportare i tassi reali in territorio positivo.

In conclusione, nel breve periodo, le performance delle valute saranno essenziali nel determinare quelle delle obbligazioni e questo recupero appena descritto le rende una valida alternativa per diversificare un portafoglio di investimenti internazionale.