Tracciare le emissioni derivanti dalla carne bovina

Michal Kulak, SI Analyst di Robeco -

La carne bovina non è solo ricca di proteine, ma è anche una grande fonte di emissioni di carbonio. A prima vista, la lavorazione del terreno e l’allevamento del bestiame sembrano attività del tutto naturali e innocue per l’ambiente. Eppure, l’alimentazione e l’agricoltura sono responsabili del 25-30% di tutte le emissioni di gas serra, il che ne fa uno dei settori a più alta intensità di emissioni del pianeta. La colpa è soprattutto degli allevamenti, in particolare dei produttori di carne bovina. Rispetto ai prodotti di origine vegetale, la carne bovina utilizza 20 volte più terra ed emette 20 volte più emissioni di gas serra per grammo di proteine commestibili. La sola produzione di bestiame è responsabile del 10,15% delle emissioni totali prodotte dall’uomo.

La lotta alle emissioni a monte delle attività agricole sarà fondamentale per ridurre le emissioni di portafoglio e quelle reali, soprattutto con la crescita della popolazione e della domanda di carne bovina. La popolazione e i redditi sono in crescita nei mercati emergenti. Ciò ha contribuito ad alimentare la domanda di porzioni di dimensioni occidentali e di diete dello stesso tipo. A livello globale, la produzione di carne bovina è quasi raddoppiata dal 1990 e si prevede un ulteriore aumento del 30% fino al 2050. Una crescita incontrollata rischia di far naufragare gli obiettivi climatici fissati dall’Accordo di Parigi per il 2050.

Finora le aziende del settore alimentare non hanno avuto a disposizione un quadro di riferimento per indirizzare gli sforzi di controllo delle emissioni. Ma la situazione sta rapidamente cambiando. L’anno scorso l’iniziativa SBTi (Science Based Targets) ha introdotto la sua prima guida, fornendo ai produttori di carne bovina gli strumenti per identificare, misurare e infine ridurre le principali fonti di emissioni nelle loro catene di approvvigionamento e nelle loro operazioni.

La quasi totalità (97%) delle emissioni dell’industria della carne bovina deriva dall’allevamento del bestiame prima della macellazione e dalla lavorazione della carne dopo la macellazione. Le emissioni generate derivano principalmente da:

1. La deforestazione, che distrugge alberi, piante e suolo e priva il pianeta di pozzi di carbonio. Inoltre, rilascia nell’atmosfera lo stock di carbonio proveniente dalla materia organica bruciata/decomposta.

2. I fertilizzanti a base di combustibili fossili, che arricchiscono i pascoli e le colture necessarie per ottenere ulteriori scorte di mangime. I fertilizzanti sono prodotti utilizzando gas naturale. Sono inoltre ricchi di azoto che, quando viene depositato sul terreno, reagisce con l’ossigeno dell’aria per produrre protossido di azoto (N2O), un gas a effetto serra (GHG) 273 volte più potente della CO2.

3. L’eccesso di letame animale applicato alle colture e ai terreni, nonché conservato o scartato in modo inappropriato. Anche il letame è ricco di azoto e, se immagazzinato all’aperto, genera metano (CH4), un gas serra 27-30 volte più potente della CO2 su un orizzonte di 100 anni.

4. Il gas metano, che viene emesso dal tratto digestivo dei bovini. Questo processo, noto come fermentazione enterica, è la principale fonte di emissioni del bestiame.

Secondo le indicazioni dell’SBTi, le aziende produttrici di carne bovina devono ridurre le proprie intensità di emissioni di carbonio del 2,4% all’anno fino al 2030 per raggiungere una riduzione complessiva del 24% richiesta all’industria della carne bovina. La misurazione del divario tra gli impegni delle aziende e i requisiti di riduzione dell’SBTi segnala con forza agli investitori quali aziende sono seriamente intenzionate a ridurre le emissioni e a mitigare i rischi di transizione futuri.

Finora le aziende agroalimentari hanno avuto pochi motivi per agire. I consumatori, soprattutto nei mercati emergenti, spendono una quantità considerevole di reddito in alimenti e prodotti correlati, per cui imporre costose regolamentazioni ai produttori è impopolare da un punto di vista politico. Di conseguenza, l’agricoltura è in gran parte sfuggita alle pressioni normative.

Inoltre, gli sforzi di decarbonizzazione del settore alimentare sono ancora piuttosto recenti. Il modello SBTi è stato rilasciato solo nel 2022 ed è attualmente l’unica fonte di indicazioni per la misurazione delle emissioni scientificamente supportata. Molte aziende stanno ancora metabolizzando i requisiti e raccogliendo dati da catene di fornitura frammentate.