Paradossi finanziari e calendari elettorali

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Dopo una fine d’anno particolarmente positiva, il 2024 è iniziato in sordina per i mercati finanziari, che anche nelle prossime settimane continueranno a fluttuare in base ai dati relativi all’inflazione e alle interpretazioni delle dichiarazioni delle banche centrali.

L’inflazione sta scendendo: negli Stati Uniti è passata dal 5,6% di marzo al 3,9% di dicembre, un dato probabilmente sovrastimato per via di alcune convenzioni contabili riguardo i canoni delle locazioni immobiliari, escludendole si sarebbe fermata al di sotto del 3%. L’inflazione europea si è attestata al 2,9% a dicembre, ma escludendo l’impatto di alcuni sussidi energetici, il trend sottostante è già vicino al target del 2% della Banca centrale europea.

Essendo l’inflazione il fattore che i mercati seguono con maggior attenzione, la mia impressione è che ci troviamo nuovamente davanti al paradosso che gli operatori chiamano «bad news is good news», vale a dire borse che salgono a seguito di notizie economiche negative perché queste ultime potrebbero avvicinare politiche monetarie meno restrittive. Notizie economiche più promettenti potrebbero invece allontanare la virata delle banche centrali e ricevono quindi una risposta più fredda.

Quest’anno si alterneranno molte elezioni, che coinvolgeranno oltre la metà della popolazione mondiale: dagli Stati Uniti all’India, passando per Unione europea, Indonesia, molti Stati africani, Messico, Venezuela e tanti altri. Le prime sono state quelle di Taiwan, che nel complesso hanno confermato lo status quo: in altre parole, potrebbero continuare le tensioni con la Cina ma probabilmente non ci sarà un’escalation a breve. La rivalità tra Stati Uniti e Cina è destinata comunque a rimanere elevata, con il rischio incombente di limitazioni ai flussi di merci e capitali.

Settimana dopo settimana, l’attenzione si concentrerà sempre di più sulle elezioni presidenziali statunitensi in programma a novembre: ad oggi, la gara sembra essere tra l’attuale Presidente Joe Biden e l’ex Presidente Donald Trump, ma per ora si sa molto poco dei rispettivi programmi economici ed è troppo presto per fare calcoli riguardo la possibile composizione del Congresso.

Il mercato si interroga anche circa le possibili implicazioni delle elezioni americane per la politica monetaria ma, in effetti, dal 1984 ad oggi la Federal Reserve non ha mai varato un ciclo di tagli dei tassi durante la campagna elettorale. Ciò non significa che non possa farlo quest’anno, anzi, ci attendiamo quattro tagli da un quarto di punto a partire da maggio, ma non ci si deve aspettare che la banca centrale statunitense assuma un atteggiamento particolare per via del calendario elettorale.

Sullo sfondo, il contesto geopolitico rimane estremamente teso. La nostra aspettativa è che il conflitto in Medio Oriente e quello tra Russia e Ucraina non registrino escalation. Ma non si tratta di rischi meramente teorici, come dimostrano i recenti attacchi missilistici a imbarcazioni commerciali nel Mar Rosso e la risposta guidata dagli Stati Uniti in Yemen. La conseguenza degli attacchi nel Mar Rosso è che molti flussi commerciali sono stati dirottati verso il Capo di Buona Speranza, con un allungamento delle tempistiche di una decina di giorni e un aumento dei costi. Per il momento l’impatto sull’inflazione dovrebbe essere modesto, se prendiamo in considerazione il Baltic Dry Index, che misura a livello globale il costo dei trasporti via mare, vediamo che è tornato ai livelli dello scorso anno. La situazione potrebbe però cambiare se altri canali dovessero avere problemi, per esempio quello di Panama per via della siccità.

Per ora gli investitori non sembrano prendere in considerazione questi rischi: il principale indice di volatilità (VIX) rimane del 25% al di sotto della sua media storica, anche se nelle ultime sedute ha registrato un modesto incremento. Il petrolio è un altro indicatore delle tensioni geopolitiche e il suo prezzo si mantiene inferiore ai livelli del 7 ottobre, data dell’attacco di Hamas contro Israele.

Per quanto riguarda l’azionario, normalmente il mercato continua a salire per almeno sei mesi dopo i primi tagli dei tassi d’interesse. I multipli prezzo/utili sono però già elevati dopo il rally dello scorso anno e penso che l’andamento dei prossimi mesi dipenderà soprattutto dagli utili delle aziende, le attese sono comunque di un modesto incremento nel corso dell’anno, circa l’8% per le aziende facenti parte dell’indice S&P 500.

In questo contesto, credo che vadano preferite le società con buona redditività e basso indebitamento, oltre ai settori che si difendono meglio nei periodi di bassa crescita, come la tecnologia. Continuo a preferire le obbligazioni e in particolare il segmento investment grade, che offre ancora rendimenti reali positivi, quindi al di sopra dell’inflazione attesa, e potenziale di apprezzamento qualora l’economia dovesse sorprendere in negativo e le banche centrali fossero costrette ad accelerare i tagli dei tassi d’interesse. Si tratta quindi di un segmento che può avere caratteristiche anticicliche.

Inoltre, l’analisi storica dei tagli dei tassi d’interesse dal 1975 in poi suggerisce che una volta che i rendimenti iniziano a diminuire lo fanno più rapidamente rispetto alle previsioni iniziali. Pertanto, nonostante il recupero di fine dello scorso anno, il mercato obbligazionario continua a presentare un’opportunità da considerare, orientandosi verso scadenze medio-lunghe con emittenti di buona qualità.