Parametri demografici e regole pensionistiche

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L’Istat riepiloga e ripercorre il ruolo della demografia nell’equilibrio automatico della spesa previdenziale e i compiti dell’Istituto di statistica. Il riferimento puntuale è all’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita e alla revisione dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo, entrambi ora effettuati, alla luce delle diverse riforme che si sono succedute, con periodicità biennale.

Per quel che riguarda l’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento la legge stabilisce che i requisiti di età per l’accesso al pensionamento debbano essere aggiornati tenendo conto della variazione della speranza di vita a 65 anni occorsa nell’ultimo periodo disponibile, così come calcolata dall’Istat. La legge, inoltre, esclude esplicitamente un adeguamento al ribasso dei requisiti in presenza di un eventuale valore negativo di tale variazione. Il parametro da fornire deve riferirsi all’Italia nel complesso e non dev’essere distinto per genere. Fino ad oggi la normativa ha avuto applicazione varie volte con aggiornamenti periodici inizialmente triennali.

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Il primo fu quello relativo al 2007-2010, periodo nel quale si osservò un incremento della speranza di vita a 65 anni pari a 5 mesi. Tuttavia, poiché in fase di prima applicazione la legge non permetteva un adeguamento superiore ai tre mesi, l’incremento mensile applicato fu pertanto proprio pari a tre (ad esempio, per i lavoratori dipendenti del settore privato l’età pensionabile fu portata da 65 anni a 65 anni e tre mesi).

Un secondo aggiornamento riguardò il 2010-2013 che entrò in vigore dal 1° gennaio 2016. In tale occasione la variazione risultò pari a quattro mesi (età pensionabile aumentata da 65 anni e tre mesi a 65 anni e 7 mesi nell’esempio precedente). Nel 2011 il sistema pensionistico in Italia è stato ulteriormente modificato dall’articolo 24 del D.L. 201/2011 (cd. “Riforma Fornero”) che ne ha attuato una revisione complessiva.

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Sul versante dell’età pensionabile le principali innovazioni hanno riguardato l’innalzamento progressivo negli anni e il livellamento di genere e tra tutte le categorie di lavoratori (dipendenti, pubblici e privati, autonomi) al valore di 66 anni e 7 mesi dal 1° gennaio 2018. Un successivo aggiornamento dei requisiti è stato quello entrato in vigore dal 1° gennaio 2019, definito sulla variazione occorsa nel 2013-2016. In tale occasione è stato rilevato un aumento di ulteriori 5 mesi, portando così l’età al pensionamento a 67 anni.

L’adeguamento alla speranza di vita ha riguardato non solo la pensione di vecchiaia ma anche, fino al 2018, i requisiti di anzianità contributiva (cd. pensione anticipata). Questi ultimi sono stati incrementati in tal senso di 3 mesi dal 1° gennaio 2013 (fino a tutto il 2015) e di ulteriori quattro mesi dal 1° gennaio 2016 (fino a tutto il 2018). Pertanto, nel triennio 2016-2018 il requisito contributivo previsto era salito a 41 anni e 10 mesi per le donne e a 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Dal 1° gennaio 2019, il previsto incremento di ulteriori cinque mesi è stato disapplicato a seguito delle modifiche introdotte dal Decreto legge n. 4/2019 (art. 15) convertito con modificazioni in Legge n. 26 del 28 marzo 2019. La norma ha stabilito, quindi, la non applicazione ai criteri contributivi del collegamento alla speranza di vita fino al 31 dicembre 2026.

Sulla base di quanto ora previsto dalla Legge di Bilancio il termine finale di esclusione dell’applicazione degli adeguamenti della pensione anticipata viene anticipato dal 31 dicembre 2026 al 31 dicembre 2024.
Per quel che riguarda i parametri demografici per l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione la Legge 335/1995 (cd. “Riforma Dini”) ha introdotto cambiamenti nel meccanismo di calcolo dei benefici pensionistici, definendo i cosiddetti coefficienti di trasformazione del montante contributivo che tengono conto di quanto si allunga nel tempo la speranza di vita. Attraverso tali coefficienti si va a determinare l’importo della pensione spettante sia al ritirato dal lavoro sia ai suoi eventuali superstiti. L’idea di fondo sottostante il meccanismo è, dunque, commisurare la restituzione dei contribuiti versati da un lavoratore nel corso della carriera al numero di anni per i quali si ritiene egli possa sopravvivere, una volta maturati i diritti previdenziali. Più aumenta in prospettiva la speranza di vita, in sostanza, maggiore sarà il numero di anni sul quale spalmare il montante contributivo del lavoratore sotto forma di pensione. In tal senso l’evoluzione dei coefficienti di trasformazione, il cui aggiornamento è oggi su base biennale (dal
1° gennaio 2019), viene a essere correlata alla crescita della sopravvivenza.