Previsioni di mercato per il Q1 2024: Eurozona sul filo del rasoio

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L’economia globale sembra ancora destinata ad un rallentamento nel 2024 considerando il contesto di continua disinflazione, anche se il passaggio verso un approccio più accomodante da parte delle banche centrali riduce le possibilità che una recessione si materializzi nel corso dell’anno. Ora il focus si sposta su quale potrebbe essere il momento in cui vedremo un possibile taglio dei tassi di interesse.

Dopo un 2023 molto turbolento, iniziamo il nuovo anno con una nota di cauto ottimismo, poiché (con alcune eccezioni, come la Bank of Japan) le banche centrali dei mercati sviluppati sono giunte alla fine del ciclo di inasprimento e stanno indicando che un certo allentamento dei tassi di interesse non è poi così lontano. Da tempo sosteniamo che la flessibilità della politica monetaria e la propensione a calibrare i tassi al ribasso, una volta che i progressi in materia di inflazione lo consentiranno, sono essenziali per mantenere una traiettoria verso un soft landing. Fino a tre mesi fa questa disponibilità era ancora in dubbio, ma oggi non lo è più. Durante i meeting di dicembre, la Federal Reserve (Fed) statunitense e la Banca Centrale Europea (BCE) hanno entrambe dichiarato senza mezzi termini che, a meno di eventi del tutto inaspettati, la prossima variazione dei tassi di interesse sarebbe stata al ribasso. Anche se le condizioni interne determineranno il ritmo con cui le altre banche centrali dei mercati sviluppati potranno seguire questa tendenza, il percorso sarà lo stesso per tutti. Nel 2023 abbiamo descritto il trend di disinflazione globale come un fenomeno a “velocità diverse ma che guarda nella stessa direzione”. E anche per il ciclo di allentamento della politica monetaria a livello mondiale del 2024 si può dire lo stesso.

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Questo non basterà a risolvere magicamente tutte le problematiche, ma contribuisce a porre un freno al rallentamento globale in corso e a ridurre i rischi di downside. Le tempistiche restano importanti e il soft landing non è affatto garantito, anche se le probabilità di raggiungerlo sono aumentate in seguito agli ultimi sviluppi. In quest’ultimo trimestre abbiamo mantenuto pressoché invariate le nostre previsioni di crescita globale, stimando un decimo di crescita in più per la crescita del 2023 e un decimo in meno per quella del 2024 rispetto alle attese precedenti. Abbiamo rivisto nuovamente al rialzo le stime per gli Stati Uniti, mentre quelle per l’area euro le abbiamo gradualmente ridotte e quelle sulla crescita della Cina nel 2024 sono rimaste invariate.

Sarà fondamentale monitorare gli eventi geopolitici nel 2024 e, considerando le presidenziali statunitensi, ci si aspetta una fitta trama di avvenimenti. Le questioni fiscali saranno al centro della discussione, anche se un’azione significativa è prevista dal 2025 in poi. Questo è uno dei motivi per cui le prospettive per il prossimo anno sono piuttosto incerte e non molto rosee, ma forse è troppo presto per preoccuparsene già adesso. Per ora, godiamoci i benefici del tanto atteso cambio di rotta della politica monetaria.

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L’Eurozona sta camminando sul filo del rasoio

A settembre non abbiamo apportato alcuna modifica alle nostre previsioni per l’Eurozona, ma nel nostro ultimo update abbiamo fatto qualche piccola modifica. Infatti, abbiamo ridotto di un decimo le stime di crescita per il 2023, allo 0,6%, mentre le previsioni per il 2024 sono state riviste al ribasso di due decimi, allo 0,9%.

E nonostante queste variazioni, rimaniamo modestamente al di sopra del consenso. Non abbiamo ancora previsto una recessione formale, ma queste proiezioni sono tutt’altro che ottimistiche. Pur rimanendo dell’idea che la capacità di ripresa macroeconomica dell’Eurozona non sia sufficientemente considerata dagli investitori, l’anno prossimo quest’area si troverà a fronteggiare significativi venti contrari di natura fiscale e l’avvicinarsi di un muro al rifinanziamento delle imprese. Il lato positivo è rappresentato dalla significativa disinflazione registrata negli ultimi mesi, che si riflette positivamente sull’aumento dei redditi reali disponibili, mentre il tasso di disoccupazione, ai minimi storici, suggerisce una tenuta del mercato del lavoro persino superiore a quella degli Stati Uniti. Inoltre, data la rigidità dei mercati del lavoro europei, sospettiamo che un eventuale aumento del tasso di disoccupazione sarà estremamente lento e limitato. Con risparmi in eccesso e un patrimonio netto delle famiglie elevati, i consumatori europei hanno risorse economiche ma mancano di fiducia. Ci aspettiamo quindi una ripresa della fiducia nel momento in cui l’inflazione si avvicinerà al target e i tassi d’interesse inizieranno a scendere. Ciò potrebbe stimolare una lieve ripresa dei consumi e un modesto aumento della crescita del PIL.

Il miglioramento dell’inflazione è stato notevole. Già 3-4 mesi fa si nutriva un diffuso scetticismo nei confronti dell’idea che l’Eurozona si sarebbe unita seriamente agli Stati Uniti nel percorso di disinflazione, eppure, sia l’inflazione headline che quella core sono attualmente più basse nell’eurozona che negli Stati Uniti.

Tuttavia, dobbiamo ammettere che la velocità di questo miglioramento è in qualche modo artificiale (legata alle distorsioni introdotte nel tempo con le modifiche ai sussidi per le spese energetiche) e che i progressi rallenteranno sensibilmente da qui in avanti (e probabilmente si invertiranno anche temporaneamente). È in quest’ottica, e anche in considerazione dell’elevata inflazione salariale, che riteniamo che la valutazione dei tagli dei tassi della BCE da parte del mercato sia al momento leggermente troppo eccessiva. Piuttosto che i tagli di 150 punti base previsti dal mercato, riteniamo che una riduzione di 100 punti base sia più ragionevoli. È possibile che la BCE sorprenda con ulteriori tagli, ma data la nostra previsione secondo cui l’Eurozona non andrà incontro ad una recessione, preferiamo un approccio più conservativo.