Il boom della produttività – una nuova alba o una falsa speranza?

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La crescita della produttività negli Stati Uniti nel 2023 ha avuto una drastica accelerazione. I mercati finanziari hanno mantenuto gli occhi costantemente puntati su varie misure dell’inflazione, crescita salariale, oscillazioni dell’occupazione e della disoccupazione, nonché fiducia dei consumatori e delle imprese. A mio avviso tuttavia la produttività potrebbe rivelarsi lo sviluppo più interessante e importante per l’economia, e merita un’attenzione particolare.

La produttività è l’indicazione di quanto può produrre un’economia con un determinato livello di risorse. La produttività del lavoro, in particolare, indica quanto può produrre la forza lavoro di un’economia in funzione del livello di capitale e della tecnologia disponibili. Una crescita più forte della produttività traina aumenti più rapidi del reddito pro capite e degli standard di vita. Ha anche un impatto importante sui mercati finanziari: un dollaro investito nell’attività economica reale produce un rendimento maggiore. A parità di altri elementi, il risultato dovrebbe essere una performance più robusta del mercato azionario.

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Una crescita più rapida della produttività significa anche un aumento delle opportunità d’investimento reali e una domanda corrispondente di capitale più elevata, risultando quindi abitualmente in un tasso d’interesse d’equilibrio più alto (o “neutrale”). il famoso “r*”.

Nel decennio scorso, i sostenitori dell’ipotesi della Stagnazione Secolare affermavano che una crescita della produttività strutturalmente più bassa continuerebbe a contribuire a una crescita economica debole e tassi d’interesse persistentemente bassi. Questa view continua ad essere rispecchiata nelle proiezioni della Federal Reserve (Fed) per il tasso al 2,5% dei fondi federali a lungo termine, che implica un tasso neutrale reale appena dello 0,5% (con un obiettivo presunto del 2% per l’inflazione di lungo termine).

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Che cosa succede alla produttività? Iniziamo dalle cifre: la crescita di produttività del lavoro (produzione per ora lavorativa) ha accelerato dal -0,6% nel primo trimestre 2023 all’1,2% nel secondo trimestre, il 2,3% nel terzo trimestre e il 2,7% nel quarto trimestre. L’ultima parte dell’anno passato appare particolarmente incoraggiante: la crescita della produttività annuale è stata mediamente del 2% negli ultimi nove mesi e 2,5% negli ultimi sei mesi. Queste cifre vanno inquadrate in una prospettiva storica, per comprendere che cosa significano.

Nei due decenni tra il 1974 e il 1995, la crescita della produttività negli Stati Uniti è stata mediamente dell’1,5%. Tra il 1996 e il 2005, è poi raddoppiata salendo al 3%. Una buona parte della ricerca accademica ne attribuisce il merito alla prima ondata dell’innovazione digitale, la cosiddetta rivoluzione della Tecnologia dell’Informazione e Comunicazione (ICT), che ha stimolato la maggior parte di quest’accelerazione. I computer si sono fatti strada nell’economia, e le società hanno gradualmente compreso come sfruttare la loro potenza ai fini di un aumento dell’efficienza. L’impatto dell’ICT si è poi affievolito, e nel periodo tra il 2006 e il 2022 la crescita della produttività è tornata a una media annuale dell’1,5%.

L’accelerazione della crescita di produttività registrata nell’ultima parte del 2023 può rappresentare un punto di svolta, un passo verso il tasso del 3% di quell’età dell’oro precedente? Un punto importante al quale fare attenzione è la volatilità di quelle cifre della produttività trimestrale; tuttavia vedo pochi motivi che sconsiglino dall’escludere troppo rapidamente le ultime cifre come rumore statistico, mentre dovremmo invece seguire attentamente i dati:

  • I dati sono volatili, ma dal 2006 in poi vi è stato un solo altro episodio nel quale la crescita della produttività ha accelerato oltre il 2% per almeno due trimestri: tra il terzo trimestre 2019 e il primo trimestre 2020. (A prescindere dal periodo successivo alla crisi finanziaria globale e i rimbalzi post-COVID, quando le variazioni della produttività sono state trainate da oscillazioni massicce dell’occupazione).
  • L’ultima accelerazione della produttività in ordine di tempo si è verificata in un contesto di mercato del lavoro estremamente robusto. Invece di rispecchiare licenziamenti, rappresenta più verosimilmente un aumento di efficienza realizzato dalle società in una situazione di piena occupazione, se non di eccesso del personale, che si è rispecchiato in un rallentamento del ritmo delle assunzioni.
  • Nell’ultimo decennio si è assistito a progressi decisamente notevoli di nuove tecnologie. Anche rettificando per le inevitabili esagerazioni del ciclo di hype, è indubbio che negli ultimi 10 anni o più si sia assistito a un’accelerazione notevole dell’innovazione tecnologica, soprattutto nella categoria Industry 4.0. Sarebbe sorprendente se a un certo punto questa nuova ondata di innovazione non desse il via a un’accelerazione della crescita della produttività. (A tale proposito, non sto neanche considerando il possibile impatto dell’IA generativa, essendo ancora troppo presto perché cominci a manifestarsi).

Il puzzle sul quale si sono confrontati gli economisti più o meno negli ultimi 10 anni è il motivo per cui quest’innovazione non abbia portato a una crescita più rapida della produttività. Alcuni sostengono che non stiamo tenendo il debito conto del valore della produzione, e sottovalutando pertanto la produttività, dal momento che gran parte del valore dell’innovazione digitale matura gratuitamente e pertanto non è completamente catturato da rettifiche edoniche. L’esempio classico è lo smartphone, che pur essendo costoso è utilizzato come telefono, macchina fotografica, calcolatore, navigatore e via dicendo. Vari studi indicano tuttavia che ciò rappresenta solo un volume modesto di produttività “mancante”. Altri insistono che l’innovazione digitale conta per poco più dei videogiochi e le inserzioni pubblicitarie, senza avere alcun impatto rilevante sulla crescita dell’economia; tuttavia questa tesi, particolarmente difesa dall’economista nord-occidentale Robert Gordon, sembra sottovalutare la potenza di molte nuove tecnologie in via di sviluppo e adottate attualmente.

Una terza spiegazione è che ci vuole solo tempo. Le società devono comprendere come impiegare nuove tecnologie, ristrutturare la loro attività e dotare la forza lavoro con nuove competenze. È già successo nel passato. Secondo il famoso detto del 1987 del premio Nobel per l’economia Robert Solow, “si può vedere l’era dei computer dappertutto, tranne che nelle statistiche di produttività.” Dopo appena qualche anno, la crescita della produttività era raddoppiata. Non vi è alcuna garanzia che si tratti dell’alba di un altro boom della produttività, ma sicuramente merita tutta la nostra attenzione.

Questa discussione appare particolarmente rilevante mentre riflettiamo sul livello al quale potrebbero attestarsi i tassi d’interesse quando si sarà conclusa la lotta all’inflazione. Nella sua conferenza stampa più recente, il presidente della Fed Jerome Powell ha affermato di prevedere un rallentamento della produttività rispetto ai trend precedenti; ma altri organi ufficiali della Fed hanno espresso opinioni più ottimistiche. Se in effetti il ritmo di crescita della produttività sta diventando più sostenuto, il tasso d’interessa neutrale sarà decisamente più alto di quanto indicato finora dalla Fed nelle sue proiezioni, e di quanto previsto dal mercato. Un tasso di riferimento di equilibrio intorno al 4% sarebbe più realistico del 2,5% perseguito dalle previsioni della Fed, come ho sostenuto da tempo. Sono convinta pertanto che la produttività sia indiscutibilmente una variabile da osservare attentamente.