L’Europa è in grado di frenare la crescita del debito pubblico, che sembra ormai inarrestabile?

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Nel momento in cui aumentano le tensioni di destabilizzazione dell’economia mondiale, sarebbe anche il caso di valutare con attenzione l’opportunità di rientro del debito pubblico, non solo italiano, ma europeo nel suo complesso.

Nel novembre scorso i tassi americani hanno superato il 5%, ma ora sono scesi. Il peggio è alle spalle?
È vero che gli Stati Uniti hanno un enorme vantaggio: i loro titoli pubblici sono considerati beni privi di rischio e apprezzati dagli investitori – possono quindi contrarre debiti più ampiamente di qualsiasi altro Paese. Ma c’è un limite.

L’Europa torna al rigore?

L’Europa sta commettendo lo stesso errore del 2011, quando l’austerità aveva soffocato la ripresa? Ridurre il deficit troppo velocemente quando l’attività rallenta, può far accentuare i rischi. Tuttavia, le previsioni di crescita per l’Europa sono molto risicate. Dobbiamo quindi essere pronti a sostenere ancora l’economia, anche se ciò implicasse un deficit più ampio per un certo periodo.
Il problema in sé, oggi, non è il livello del debito pubblico – non importa se è al 100% o 120% del prodotto interno lordo (PIL) – ma la sua stabilizzazione. E’ necessario definire un piano credibile di aggiustamento e riduzione delle spese da cinque a otto anni. E questo vale per l’Italia, ma anche per Francia, Belgio, ecc.

Il deficit ha tre componenti:

  • quella legata alla spesa tradizionale (reddito di cittadinanza, pensioni, pagamenti dei dipendenti pubblici, ecc.),
  • quella legata alla difesa europea (oggi rappresentata anche dall’Ucraina contro la Russia)
  • la lotta contro riscaldamento globale

Ma qui stiamo parlando di una quarta voce, quella legata al sostegno di attività economiche in caso di rallentamento del PIL.
Chiaramente, il piano deve essere quello di ridurre la prima voce, per aumentare la spesa per le altre due, ma essere anche pronti a intervenire sulla quarta voce.

L’allentamento delle regole di bilancio europeo

Come uscire da questa impasse? Possiamo sperare che le spese richieste dal riscaldamento globale o la difesa possano ridimensionarsi, ma è anche vero che c’è in Germania un’ossessione atavica contro il concetto di debito pubblico. Se il governo tedesco si rifiuta di allentare le regole
dei bilanci nazionali, il piano B non può essere che agire a livello europeo, rafforzare la spesa comune ed emettere debito europeo. Il piano di ripresa Next Generation EU ha dimostrato che è possibile. Questo vale ancora di più, come nel caso della lotta al cambiamento climatico, dove un atteggiamento comune sarebbe molto più razionale, ovvero il caso di un esercito europeo.

Insistere invece sul tradizionale rigore europeo rischia di accelerare una sorta di deindustrializzazione, proprio quando Stati Uniti e Cina
sovvenzionare le loro fabbriche. Ci sono due modi per sostenere la transizione verde: attraverso la detassazione delle iniziative green, come ha deciso di fare l’Europa, o attraverso le sovvenzioni, la scelta degli Stati Uniti. Ma con diversi effetti in termini di competitività delle aziende.

Come proteggere i più vulnerabili, in questo contesto?

Questo è sempre stato lil problema del commercio internazionale. Anche se molte decisioni vanno a vantaggio dei consumatori, si creano inevitabilmente dei perdenti fra gli operatori del settore. La crisi concretizzatasi dal gennaio scorso ha evidenziato ad esempio questi problemi nel comparto agricolo. Possiamo proteggerlo di più: comunque ci saranno sempre Paesi in cui la produzione sarà meno costosa.

Questo implica che l’obiettivo della ricerca della diminuzione dei prezzi al consumo tende a penalizzare i produttori che devono rivedere il loro margini. Possiamo fare scelte più favorevoli all’uno o all’altro, ma devono essere chiare le implicazioni. Non molto facile durante i periodi pre-elettorali