Lo status quo non è a costo zero. Italiani del futuro di Benedetta Cosmi

-

Benedetta Cosmi

La sostenibilità sociale è propedeutica alla sostenibilità ambientale: studiamo il caso delle auto «driversless» e delle «auto elettriche».

L’incedere delle nuove tecnologie, che stanno già portando ad un alto livello di assistenza del conducente nella guida, e che porteranno in futuro a livelli sempre più elevati di automazione, hanno bisogno della componente tecnica ed economica ma anche dell’attenzione giuridica. E così all’Università di Bologna, nell’ambito di un ciclo di seminari dedicati al «Diritto dell’automotive», si tiene l’incontro «Le driverless car e la nuova responsabilità civile».

Si colloca in un taglio fortemente interdisciplinare, che è poi quello di «Motorvehicle University della Emilia-Romagna» dove tutte le Università (Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, Parma, Piacenza) si sono unite per dare vita alla prima Università totalmente dedicata a ogni aspetto e studio del veicolo: in ogni sua fase, dalla progettazione, fino alla messa in strada, dalla diffusione sul mercato, alla competizione sportiva. Una capacità dell’università Pubblica di fare rete con le grosse realtà private e attrarre iscritti da tutte le parti del mondo. E in quel contesto che nascono i seminari sul diritto dell’automotive che mirano a creare un terreno comune dove le varie professioni, con background differenti, si incontrino e siano in grado di dialogare.

La guida autonoma

Così nella giornata a Giurisprudenza organizzata dal prof. Enrico Al Mureden è intervenuto Sergio Savaresi, professore ordinario del Politecnico di Milano, che sperimenta da anni la guida autonoma, sia in contesti protetti quali i circuiti da corsa, sia in quelli via via più su strada, dalla Mille Miglia alla circolazione pubblica e con traffico reale. Introducendo il tema dell’automazione spicca – nella sua impeccabile lettura un errore interno al tema della sostenibilità – serve un’inversione di priorità tra «auto driveless» e «auto elettrica». Ovvero, rispetto a quello che normalmente viene illustrato, sarà proprio l’auto «driverless» il prerequisito, propedeutico, diciamo la tecnologia abilitante che renderà diffusa l’auto elettrica.

L’efficienza dell’auto driveless

Per generare impatto sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. In assenza di essa resta un fenomeno elitario, di nicchia e principalmente nel cuore delle grandi città come Milano, che già è la dimostrazione di quanto sia incapace di diffondersi in modalità «sharing» nell’hinterland. L’auto elettrica avrebbe la capacità di essere utilizzata in modo intenso, più kilometri delle attuali autovetture, quindi tramonta il mito dell’auto di proprietà. Addirittura – dice Savaresi – gli studi più accreditati parlano di una efficienza dell’auto driveless di questa portata: un’auto sola riuscirà a svolgere il compito che attualmente svolgono 10 auto private. Non ha bisogno del pilota per muoversi, non ha bisogno di essere parcheggiata. Ma deve raggiungere i suoi utenti. Altrimenti ricade nei limiti che conosciamo: costi alti, ecc ecc.

Questo permetterà secondo il prof. Savaresi benefici soprattutto in materia di congestione degli spazi urbani, sul fronte dell’inquinamento e naturalmente di sostenibilità sociale ed economica, realizzando così gli obiettivi dell’agenda ONU 2030. Obiettivi dell’agenda ONU 2030 che in questo caso sarebbero realizzati a partire dall’obiettivo numero 11 «città sostenibili». Ma che saranno realizzati anche dal punto di vista dell’obiettivo numero tre: «Protezione dell’essere umano, della persona».

La driverless car può ridurre gli errori nella guida. Oggi il 94% degli incidenti è dovuto ad errori umani. Si può ridurre il numero delle vittime sulla strada. Benedetto Carambia, responsabile di ricerche e sviluppo di Movion Group di Autostrade per l’Italia ha spiegato soprattutto il rapporto che intercorre tra l’auto altamente motorizzata e le infrastrutture, la cosiddetta «birdwatch» ossia la visione dall’alto complessiva dell’ambiente circostante che diventa un punto fondamentale dell’interazione tra veicoli e infrastrutture e che serve a massimizzare la capacità del veicolo di ridurre gli incidenti.

L’intelligenza artificiale?

Carambia ha illustrato come molti tratti autostradali stiano cominciando, nei limiti consentiti, a sperimentare queste tecnologie facendo sì che vengano testate anche in condizioni reali e che possano essere messe a disposizione del grande pubblico anche in Italia dove oggi non è possibile immatricolare, targare e acquistare nessun mezzo del genere, ma in Germania e San Francisco ci sono discipline giuridiche diverse quindi cosa ci rende più o meno predisposti verso l’intelligenza artificiale?

Uno studio dimostra un ambiente giuridico più favorevole altrove, noi siamo un paese «regulation driven», rispetto ad altri paesi del mondo.

KPMG ha pubblicato l’Autonomous Vehicles Readiness Index (AVRI), che valuta la preparazione di 30 paesi e giurisdizioni all’adozione di veicoli autonomi. Questo studio considera quattro pilastri principali: politiche e legislazione, tecnologia e innovazione, infrastrutture e accettazione dei consumatori. Singapore è al primo posto, seguita da Paesi Bassi, Norvegia, Stati Uniti e Finlandia. Italia è sotto il 24esimo posto.

Domenico Crocco di Anas e Priac rispondendo a una mia provocazione dice: «Volevo raccogliere un input della dott.ssa Cosmi per quanto riguarda il discorso delle nostre strade (dialogando con il prof Brogi chiedeva «di che cosa ha bisogno la guida autonoma?»). Due cose sono fondamentali: una pavimentazione efficiente, in questo senso è responsabilità del gestore, e una segnaletica chiara. Dato ciò, alla guida autonoma non occorre altro».

Molto interessante quindi lo studio a livello internazionale che ha classificato i vari sistemi giuridici dei diversi paesi a seconda della loro maggiore o minore capacità di incentivare e accogliere il fenomeno della diffusione delle auto altamente meccanizzate.

Domenico Crocco, responsabile dei rapporti istituzionali internazionali Anas e primo delegato e segretario generale del comitato italiano Piarc sottolinea come l’Italia sia stata da tempo pioniera in questa tecnologia citando gli studi del prof. Alberto Brogi, dell’università di Parma che già nel 1998 implementò la tecnologia dell’auto driverless. Sottolineando come sulla scorta del motto «Safe the First» la sicurezza prima di tutto, bisogna incoraggiare nella massima misura possibile l’auto driverless proprio al fine di prevenire e soprattutto evitare gli incidenti.

Il prof. Crisci, della Sapienza di Roma, sottolinea la transizione da un sistema di responsabilità centrato sulla persona, il conducente dell’auto, a un sistema di responsabilità che con l’auto driverless dovrà cambiare paradigma.

Alberto Viano, come rappresentante di una delle più importanti imprese che effettuano noleggio a lungo termine, trova che l’aspetto più interessante sia anche nella diffidenza che il grande pubblico nutre verso gli errori e gli incidenti commessi dalle macchine rispetto a quelli commessi dall’uomo. Mentre si accetta, dal punto di vista psicologico, l’errore di una persona, non si accetta l’errore di un’auto, e in Italia è – in qualche modo – maggiormente necessario vincere questo pregiudizio con l’efficienza e la prudenza dei test. Secondo gli esperti dell’analisi comportamentale  è ciò che si chiama un bias dello «status quo» cioè la tendenza a fidarsi e accettare tutto ciò che già è presente e a diffidare e guardare con sospetto tutto ciò che è nuovo.

Il prof. Enrico Al Mureden, organizzatore del ciclo di seminari, chiude la giornata, sottolineando come l’auto driverless porti e imponga al giurista un totale cambiamento di paradigma che era stato già individuato nel libro “Driverless car”, scritto con il prof. Guido Calabresi – Professore emerito della Yale Law School – insignito di oltre 70 lauree honoris causa – il numero di incidenti da gestire sarà in futuro infinitamente più basso, con riduzione del 95 per cento di essi, però questi incidenti oltre a essere un numero infinitamente minore rispetto al passato hanno una caratteristica: nella maggior parte dei casi sarà difficile spiegarli in termini di colpa o di difetto.

Questo per quanto riguarda la responsabilità civile è un salto culturale molto forte perché in tutta la storia la responsabilità civile si è sempre mossa basandosi sulla colpa. Il motto che ha dominato la responsabilità civile è «nessuna responsabilità senza colpa ….», poi in alcuni particolari settori come il danno da prodotto si è passati a «nessuna responsabilità senza difetto». Con la complessità degli algoritmi non sarà fattibile procedere nei termini di errore e difetto che normalmente hanno consentito al giurista di spiegare la responsabilità civile.

Ecco che la sfida per il giurista del futuro sarà quella di separare il problema della ricerca della colpa e dei difetti da quello dell’indennizzo, del risarcimento e più correttamente della compensazione economica del danneggiato. Occorre trovare un sistema che sia capace di compensare economicamente il danneggiato anche nei casi in cui non ci sia la possibilità di spiegare, come abbiamo sempre fatto in termini di colpa e difetto.

In questo sembriamo un Paese più affascinato dalle colpe che dalle soluzioni, tolleranti verso i costi dello status e prudenti verso il futuro. La sostenibilità sociale passa dalla auto che si guidano con l’intelligenza artificiale. È emerso con chiarezza. Fa paura. È strano dovrebbe farci paura quanta sofferenza c’è in chi è dipendente da altri, la libertà di muoversi da soli in tante aree del paese anche per l’assistenza di prima necessità apre delle porte di giustizia non considerate.