Come rilanciare la previdenza complementare

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Il ruolo della previdenza complementare assume una centralità strategica che può, da un lato, rendere il sistema meno sensibile ai cambiamenti demografici ed economici attraverso il metodo della capitalizzazione individuale, dall’altro, contribuire ad assicurare una pensione più adeguata alle nuove generazioni.   Lo sottolinea la Confindustria in una recente audizione parlamentare in cui ha sottolineato come sia fondamentale mantenere il riconoscimento e il rafforzamento della centralità e del ruolo della contrattazione collettiva.

Per questo, il sistema Confindustria ha contribuito sin dal 1993 in maniera fondamentale a promuovere lo sviluppo del secondo pilastro pensionistico, mediante la contrattazione collettiva su basi categoriali e aziendali, facendone un elemento sostanziale del nostro welfare contrattuale (come gli accordi interconfederali e il Patto per la fabbrica testimoniano). I contratti collettivi nazionali fissano, infatti, un trattamento economico “complessivo” che va ben oltre la mera retribuzione minima e che è composto da tutto ciò che si garantisce ad2 ogni lavoratore del settore, anche attraverso il welfare. Anche la contrattazione di secondo livello, poi, negli ultimi anni si è articolata sempre più sulla previsione di prestazioni di welfare a vantaggio dei lavoratori
È arrivato il momento di mettere in campo interventi, di natura legislativa o contrattuale, in grado di dare con urgenza, e in un’ottica di lungo termine, un migliore assetto al sistema, sotto diversi aspetti.

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In primo luogo si rimarca la necessità di un provvedimento organico e complessivo in tema di previdenza di secondo pilastro, piuttosto che interventi multipli e disorganici, come in passato, che possa contenere, in un quadro coerente e lungimirante i correttivi da apportare in termini di semplificazione normativa e agevolazioni fiscali. Inoltre, vi è senza dubbio l’esigenza di un intervento significativo e strutturale per migliorare l’alfabetizzazione previdenziale e finanziaria dei cittadini, dopo sedici anni dalla prima Campagna istituzionale del 2007 sul secondo pilastro e di un nuovo semestre di silenzio-assenso per favorire il rilancio delle adesioni ai fondi pensione.
Confindustria è convinta che una campagna informativa dedicata, accrescendo la consapevolezza sull’importanza di aderire alla previdenza complementare per il proprio futuro, consentirebbe anche di non lasciare che il TFR cd. “inoptato” delle aziende con organico superiore ai 50 dipendenti confluisca nel Fondo Tesoreria INPS istituito con la l. 296/2006 (circa 5 miliardi l’anno), ma possa tornare al secondo pilastro (per un incremento di iscritti e risorse), piuttosto che essere utilizzato “per spese correnti”.

Oltre ad intervenire per superare la crisi del mercato del lavoro, occorre una revisione della disciplina fiscale del secondo pilastro, attraverso la riduzione del prelievo fiscale sostitutivo sui rendimenti degli investimenti nei fondi pensione (attualmente del 20%), il superamento del criterio del pro-rata nella tassazione delle prestazioni (come già riconosciuto, dalla Legge di Bilancio 2017, per la prestazione della Rendita integrativa temporanea anticipata) e l’abbandono della tassazione dei rendimenti sul “maturato” in favore del criterio del “realizzato”.
Sul punto va, opportunamente, dato atto delle linee di intervento prefigurate del disegno di legge delega di riforma del sistema fiscale che, sul piano della previdenza complementare, sembrano andare nella direzione auspicata. Infatti, pur confermando il principio di tassazione dei rendimenti conseguiti dai fondi, prevede l’adozione di un criterio di tassazione per cassa del risultato annuale realizzato della gestione nonché un intervento sul regime sostitutivo di tassazione al fine di sostenerne 5 la finalità pensionistica (che immaginiamo vada nella direzione di una riduzione dell’imposizione sostitutiva).

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Si potrebbe incrementare anche il limite di deducibilità di euro 5.164, che sostanzialmente corrisponde all’importo di 10 milioni di lire definito dalla riforma della previdenza complementare del D.lgs. n. 47/2000 (addirittura antecedente alla successiva riforma del 2005). Più nello specifico, andrebbero premiate dal punto di vista fiscale e contributivo le iniziative di welfare contrattuale solo quando vi sia l’applicazione del contratto collettivo di riferimento del settore in cui opera l’impresa. In altri termini, non pare equo concedere benefici di tipo fiscale e contributivo laddove non vi sia il rispetto dei trattamenti economici e normativi previsti dal contratto collettivo, anche al fine di evitare un utilizzo improprio del welfare contrattuale.
Serve inoltre una revisione migliorativa delle misure compensative per le imprese, ferme alla previsione introdotta nel 2007.

Sotto altro aspetto, è importante promuovere, anche con adeguate misure fiscali, l’utilizzo del risparmio previdenziale per gli investimenti a lungo termine di cui necessita il Paese, favorendo l’innesco di un circolo virtuoso che, ferma la tutela del risparmio previdenziale dei lavoratori e il rispetto della loro propensione al rischio, aumenti sia le prospettive occupazionali sia le possibilità di accumulo pensionistico. In questa prospettiva, i fondi pensione possono svolgere un ruolo utile anche per lo sviluppo di fonti finanziarie alternative per le PMI e di investimenti infrastrutturali. Si tratta, infatti, di entità che investono con orizzonti di lungo periodo potendo avere un approccio paziente in grado di assicurare un forte sostegno al sistema produttivo e, conseguentemente, all’occupazione e alla coesione sociale. L’investimento in asset non tradizionali e illiquidi, ai quali si lega un premio per l’illiquidità e dunque la possibilità di rendimenti più elevati nel lungo periodo, crea un allineamento di interessi tra gli iscritti agli enti previdenziali, che vogliono massimizzare i rendimenti del loro risparmio previdenziale, e le imprese. Investire in asset alternativi illiquidi, con modalità tali da assicurare la maggiore efficienza allocativa e la maggior tutela del risparmio previdenziale dei lavoratori, richiede però elevate competenze e adeguata diversificazione. In proposito, si dovrebbe tra l’altro favorire la creazione di piattaforme e consorzi di investimento per l’aggregazione di portafogli ai fini del raggiungimento di una dimensione minima per un’efficace diversificazione dell’investimento con chiara definizione di presidi di governance e di controllo in capo agli investitori previdenziali.