UBS AM: e se la Fed non taglia?

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Se la rapidità del movimento obbligazionario dovesse continuare, ci si dovrebbe aspettare una maggiore volatilità negli asset di rischio. Tuttavia, riteniamo che presto il processo disinflazionistico si riaffermerà e creerà una certa stabilizzazione dei tassi. I livelli più elevati dei rendimenti non costituiscono un ostacolo per i futuri rendimenti azionari e un PIL nominale in buona salute dovrebbe sostenere gli utili anche in un contesto di tassi più elevati a lungo termine. A nostro avviso, i mercati azionari e creditizi dovrebbero resistere bene anche se la Fed non taglierà i tassi, a patto che il rialzo dei tassi non sia in discussione. Riteniamo che l’asticella per un ulteriore inasprimento della Fed sia alta.

I tassi di policy al di sopra del 5% non stanno avendo un impatto così negativo sulla crescita, il che indica un minor rischio di recessione economica nel breve termine e, a nostro avviso, fornisce maggiori motivi di fiducia in una continua crescita degli utili.

Il nostro scenario di base prevede che i titoli statunitensi mantengano i margini vicino ai picchi pre-pandemici e possano godere dei benefici di una crescita nominale migliore rispetto al ciclo pre-pandemico: un contesto positivo per il rischio.

Come abbiamo visto negli ultimi anni, i dati economici possono sventare i migliori piani delle banche centrali. Tuttavia, siamo convinti che anche se l’inflazione potrebbe impiegare più tempo per raggiungere l’obiettivo del 2% della Fed, è improbabile che acceleri in modo duraturo. Il mercato del lavoro si sta allentando, come dimostrano il raffreddamento della crescita salariale e il calo del tasso di abbandono. Gli indicatori anticipatori degli affitti e dei prezzi delle auto usate, che sono tra i maggiori responsabili del rialzo dell’inflazione, puntano chiaramente verso il basso. Questi indicatori riflettono un’inflazione più stabile per un periodo più lungo, ma non una riaccelerazione.

Asset allocation

L’arretramento dei titoli azionari dai massimi storici, in concomitanza con l’aumento dei rendimenti obbligazionari e della volatilità, rappresenta un reset delle valutazioni e non, a nostro avviso, un segnale di preoccupazione per la capacità di crescita degli utili. Rimaniamo sovrappesati sulle azioni globali e preferiamo i settori e le regioni ciclici rispetto a quelli difensivi.

Il rapporto rischio/rendimento delle obbligazioni sovrane è migliorato, ma restiamo neutrali sulla duration. La gamma di risultati è ancora ampia e negli ultimi mesi non abbiamo riscontrato prove concrete di una moderazione della crescita e dell’inflazione negli Stati Uniti. Inoltre, gli indici globali dei responsabili degli acquisti e i prezzi delle materie prime hanno generalmente registrato una tendenza al rialzo, aumentando i rischi di rialzo dell’inflazione e dei rendimenti obbligazionari. In definitiva, a nostro avviso, un eventuale calo dei rendimenti o una riduzione della volatilità obbligazionaria si tradurrebbe in un maggiore rialzo per le azioni rispetto alle obbligazioni.

I rendimenti all-in del credito rimangono interessanti, ma la maggior parte di essi deriva dalla componente priva di rischio, poiché ai livelli attuali lo spazio per la compressione degli spread è limitato.

A nostro avviso, la migliore copertura di portafoglio per proteggersi da una crescita e da un’inflazione sorprendentemente calde negli Stati Uniti, che determinano la volatilità tra gli asset, è rappresentata da posizioni lunghe sul dollaro USA rispetto alle valute del G10.