Novelli, Lemanik: Europa e Giappone sono condannate alla stagnazione per il loro sostegno al dollaro

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La narrazione di consenso che sostiene lo scenario di un soft landing globale nasconde in realtà l’esigenza di “sopprimere il ciclo dell’economia” e fare in modo che le fasi di recessione non vengano più rilevate nei dati statistici. Molti dati macro pubblicati negli ultimi anni confermano questa ipotesi e aumentano i dubbi sulla reale situazione dell’economia internazionale. Dal 2020 è aumentata la frequenza delle revisioni di calcolo del Pil, in particolare negli Stati Uniti, e si sono accentuate le manomissioni dei dati con l’applicazione di esasperati aggiustamenti di “destagionalizzazione”. Nonostante alcune economie siano in evidente crisi strutturale (Germania, Regno Unito e Cina), i dati di calcolo del Pil dell’economia non hanno mai rilevato cedimenti importanti e le variazioni negative oscillano nell’ordine dello 0,1% – 0,2%. Gli Stati Uniti pubblicano dati mensili sul mercato del lavoro abbastanza incomprensibili, salvo poi sottoporli a significative revisioni dopo oltre un anno dalla loro pubblicazione, con aggiustamenti negativi che raggiungono quasi il milione di posti di lavoro. Il mese scorso, il dato sulle vendite al dettaglio Usa ha registrato un incremento (destagionalizzato) molto positivo di 0,4% sul mese, ma il dato non destagionalizzato era -7,4%. La crisi della Germania, platealmente evidenziata dai Ceo tedeschi e molto documentata nei dettagli, non si rileva nella pubblicazione del Pil, che stando alle statistiche ufficiali si contrae solo di 0,2%. L’economia della Gran Bretagna non ha subito apparentemente alcun danno significativo dall’aumento dei tassi, dalla crisi dei fondi pensione, dalla Brexit e dalla delocalizzazione finanziaria. Sulla Cina non c’è molto da aggiungere a quello che già si sapeva da tempo, mentre sugli Stati Uniti si può solo constatare che il “boom economico” non sembra essere percepito dalla popolazione americana. È la prima volta infatti che un’amministrazione con risultati economici “fantastici” perde le elezioni. Anche la riduzione dei tassi da parte della Fed lascia molto perplessi, dato che, secondo i dati ufficiali, non avrebbe dovuto essere fatta.

Cosa implica la volontà politica di “sopprimere il ciclo”?

Continuo a essere fermamente convinto che il Covid ha colpito il sistema al massimo della sua vulnerabilità finanziaria, quando il leverage del settore privato, costruito sui tassi a zero, era ai suoi massimi storici e una parte rilevante (30%) dello stock di credito speculativo creato in anni di QE era praticamente insolvente. Gli interventi di salvataggio hanno occultato le vulnerabilità, rinviato le insolvenze ma non hanno modificato i fondamentali. La conferma arriva dagli attuali tassi di insolvenza in corso e dalle posizioni in sofferenza sul credito in importanti settori dell’economia (Commercial real estate, Private Equity e Credito al Consumo) e dalla esplosiva attività di rollover del debito insolvente da parte di banche e Private Credit. Ma anche spostando in là le scadenze di chi non può pagare, rimane evidente che i fondamentali non sono destinati a migliorare se non sono migliorati in questo effimero boom dell’economia e ci si infila inesorabilmente in una Balance Sheet Recession. Nonostante la forza superficiale che appare nei dati macro dell’economia americana, è alquanto strano che la Fed, impegnata formalmente nella lotta all’inflazione, abbia mantenuto le attuali riserve bancarie nel sistema a 3,5 Trilioni vs una media di 1,5 Trilioni degli ultimi dieci anni, nettamente superiori a quando il sistema era supportato dal QE. Perché un tale livello di liquidità al sistema bancario se poi le banche non aumentano gli impieghi e avresti dovuto ridurre lo stock di liquidità nel sistema per contenere un’inflazione rampante?Negli ultimi mesi, grazie a tali riserve in eccesso, le grandi banche Usa hanno acquistato titoli del debito pubblico per un importo di quasi 500 miliardi di dollari, mentre il QT della Fed si è praticamente fermato. In sostanza sembra che sia ripartito un Quantitative Easing attraverso il sistema bancario, supportato dalla liquidità fornita dalla Fed alle banche.

Questo tipo di supporto straordinario di liquidità, attraverso canali non visibili al grande pubblico, conferma quindi una fragilità di fondo di un sistema che pubblica dati macro apparentemente solidi, ma continua a richiedere un supporto monetario e fiscale. Mentre la percezione degli operatori finanziari è accecata dall’andamento dell’indice SPX, non sorprende che la percezione degli operatori economici e dei consumatori sia diametralmente opposta e che Trump, che evidenzia una richiesta di cambiamento, abbia vinto le elezioni. In ogni caso, leggendo nelle interiora del sistema e nelle sue pieghe più nascoste, si scopre che l’apparenza (come al solito) inganna e l’intenzione dei Policy Makers di sopprimere il ciclo tramite revisioni statistiche e dati gonfiati è ormai una realtà irreversibile. Dopo quattro anni di colossali interventi fiscali di supporto all’economia e strutturali supporti monetari e di liquidità (tuttora in essere), siamo alla vigila di una interruzione del QE e di ulteriori interventi monetari, accompagnati da una ulteriore costante espansione della spesa pubblica. Tutto questo in un’economia “forte”. Lo scenario che si delinea all’orizzonte è quindi piuttosto chiaro: è necessario sopprimere il ciclo dell’economia e perseguire ad oltranza politiche fiscali e monetarie espansive di tamponamento.

La trappola del quantitative easing

Ma tali politiche non sono più in grado di produrre crescita reale, salvo con la manipolazione dei dati, poiché il moltiplicatore fiscale e monetario è ormai compromesso da due fattori: 1) il colossale stock di credito speculativo insolvente in circolazione che assorbe in modo improduttivo la liquidità che immetti e 2) il debito pubblico improduttivo che serve ad erogare sussidi a chi non regge questo modello di sviluppo (il 40% della spesa pubblica Usa per il 25% della popolazione americana). Il sistema capitalistico è ormai chiuso in una trappola strutturale creata da 14 anni di QE che hanno favorito l’allocazione del capitale ad attività improduttive o a basso ritorno sugli investimenti e alla creazione di monopoli tecnologici. Questo è il principale problema per il quale il sistema è in crisi e gli strumenti per uscire dalla crisi (fiscali e monetari) non sono più così efficaci. Per cercare di compensare l’attuale incapacità del sistema di creare e distribuire in modo diffuso reddito e ricchezza tramite la crescita, i Policy Makers stanno cercando di farlo attraverso la rivalutazione degli asset finanziari, pensando che la finanziarizzazione dell’economia possa compensare la caduta dei redditi reali e fornire un canale alternativo di creazione dal nulla di ricchezza. Purtroppo tale strategia non è sostenibile, ci espone a rischi di instabilità finanziaria ed accentua la disuguaglianza, dato che le fasce medio basse della popolazione non hanno asset finanziari tali per beneficiare delle bolle speculative, e in caso di scoppio delle bolle, sono quelli che inevitabilmente pagano il conto più salato per la crisi che ne consegue. È quindi certo che le spinte populiste sono destinate comunque a crescere ovunque nel mondo e questo fenomeno continuerà a richiedere una esplosione del debito pubblico per controllare, attraverso sussidi e bonus, il dissenso sociale.

La crescita del debito non può però reggere tassi d’interesse elevati su tale debito e richiede quindi un ritorno al QE per controllare i tassi ma contestualmente politiche monetarie mirate a produrre inflazione. Questo è il principale motivo per il quale la monetizzazione del debito sarà implementata in modo strisciante negli Stati Uniti e in molti paesi occidentali, utilizzando il sistema bancario come principale sottoscrittore nelle aste dei titoli del tesoro. Le Banche centrali non potranno così più essere accusate di politiche non convenzionali. Il problema rimane comunque la tenuta del sistema, che allo stato attuale sembra particolarmente critica ed esposta a rischi non percepiti in nessun modo da coloro che guardano all’indice SPX come principale indicatore di rischio. L’inflazione sembra la soluzione apparentemente meno dolorosa ma comunque destabilizzante, perché, sebbene anche i dati sull’inflazione possono essere politicizzati, la percezione dell’opinione pubblica si sta certamente rivelando meno incline a credere a quello che Wall Street vuole farti credere. Il rischio di una crisi di credibilità delle istituzioni e dei Policy Makers non può essere quindi esclusa, dato che la soppressione del ciclo economico è qualcosa che puoi fare solo sulla carta per sostenere temporaneamente gli asset finanziari, ma coloro che non partecipano alle bolle speculative (la maggioranza) continuerà ad avere percezioni negative sull’economia.

Il rally dell’Oro

In questo contesto, dove apparenza e realtà sono ormai in evidente contrasto, l’Oro è destinato a proseguire il rialzo e a posizionarsi come una asset class che in qualche modo dovrà essere presente nel portafoglio degli investitori, anche se al momento non sembra che il consenso abbia compreso il reale motivo del suo rialzo, che non è legato solo all’inflazione ma soprattutto al futuro ruolo del dollaro, alla monetizzazione del debito come soluzione di tamponamento e alla tenuta dell’architettura finanziaria basata sul Dollar Standard. Per quanto riguarda i bonds sarà abbastanza difficile per le Banche Centrali controllare la curva nella parte lunga delle scadenze, anche se i tentativi attualmente in corso verranno intensificati. Credo che una posizione remunerativa potrebbe essere quella di implementare una posizione long 10y Bund e short 10y US Treasury, dato che i titoli del tesoro degli Stati Uniti sono molto più esposti a politiche reflazionistiche. In ogni caso non sono positivo sui Treasury Bonds americani. Un’area dove la “soppressione del ciclo” non potrà essere nascosta sarà nei profitti delle società quotate che avranno una tendenza negativa e dove si accentuerà ulteriormente la concentrazione della redditività in solo pochissimi titoli. Tuttavia, comincia a trapelare in modo evidente la tendenza a cercare di tassare sempre più il capitale per cercare di far fronte al debito pubblico richiesto per contenere le spinte populiste. Credo che tale tendenza si accentuerà in modo particolare se la stagnazione (detta soft landing), come credo, sarà permanente. Nuove imposte su successioni, Real Estate, Private Equity, Capital Gains e BuyBacks verranno via via implementate e questo avrà un impatto sulla redditività del capitale che andrà a penalizzare l’attuale ondata di speculazione finanziaria.

La condanna alla stagnazione per Europa e Giappone

Il dollaro rimane un tassello fondamentale per la tenuta del sistema americano, ma per reggere ha bisogno un livello di tassi d’interesse che il sistema non può pagare. Attualmente gli Stati Uniti hanno accumulato il più grande assorbimento di risparmio estero dagli anni venti. La differenza sostanziale è che negli anni venti l’America aveva un avanzo commerciale, un avanzo di Current Account e un debito pubblico pari al 20% del Pil. I fondamentali erano dunque molto forti, ma nonostante tutto questo gli Stati Uniti hanno subito la crisi del 1929. La posizione debitoria netta è oggi invece pari al 90% del Pil, siamo con il debito pubblico e privato al record storico e tutto il leverage Usa dipende prevalentemente dal risparmio estero. Solo le posizioni d’investimento long su Equity US da parte di non residenti è pari a 16 Trilioni di dollari (il 70% del Pil), una parte preponderante dei Corporate Bonds (30%) è detenuta da investitori esteri. Il dollaro si è rivalutato per questo colossale flusso di capitali e l’intero sistema Usa è ora e più che mai esposto a rischi di deflussi di capitale se le cose dovessero mettersi male. Il fatto che Trump abbia accennato ad eventuali sanzioni sui paesi che riducono le riserve monetarie in dollari, sebbene difficilmente praticabile, evidenzia la criticità di un sistema che non ha margini di errore. Questo vuol dire che per mantenere l’attuale status quo di stagnazione o soft landing, indipendentemente da come lo si vuole chiamare, Yen e Euro devono mantenere lo status di divise di carry trade. Ma mentre Europa e Giappone stanno cercando di mantenere l’architettura finanziaria del Dollar Standard a loro spese, una buona parte delle economie emergenti (e non solo la Russia) stanno ridimensionando il loro finanziamento al debito americano. Questo calo dei flussi verso il dollaro, di solito supportati dagli avanzi commerciali dei paesi emergenti che tendono a riciclare il surplus verso i Treasuries, deve quindi essere compensato sempre di più da Europa e Giappone. Quindi Europa e Giappone devono risparmiare di più per creare un maggiore surplus finanziario da canalizzare verso il sistema americano, che deve però continuare a fare debito per sostenere l’economia. Ma se l’America non continua a consumare e importare a debito, il surplus commerciale di Europa e Giappone si riduce e il riciclo del surplus estero su asset americani si riduce. Tutto questo si accentua se gli Stati Uniti fanno politiche commerciali globali che impattano sugli avanzi commerciali di coloro che sostengono il debito estero Usa, introducendo dazi sul commercio globale. La minaccia di dazi Usa sull’Europa accentuerà la delocalizzazione produttiva in America e non farà che accentuare la deindustrializzazione Ue. Il risultato di questo meccanismo è la condanna alla stagnazione per Europa e Giappone, che per motivi geopolitici sono obbligati a sottostare alle esigenze americane per sostenere il dollaro.

La Cina, nonostante i problemi, sta invece aumentando l’interscambio commerciale con le economie emergenti e cerca di sottrarsi lentamente al legame economico e finanziario con gli Stati Uniti, indirizzando più risorse in Asia e meno sui Treasuries. I cinesi hanno capito che è necessario il decoupling dagli Stati Uniti e che la guerra commerciale e geopolitica è su una strada irreversibile. Se devo scommettere come finirà questo gioco, sono propenso a credere che Europa e Giappone non potranno reggere per molto tempo questa situazione, dato che non produce crescita ma stagnazione. La dimostrazione che tutto sta andando in questa direzione è confermata dal fatto che Giappone ed Europa non risentono in alcun modo della apparente crescita americana e rimangono a crescita zero. Il Giappone ha avuto una coesione sociale che gli ha permesso di reggere vent’anni di stagnazione economica, l’Europa non l’ha mai avuta e non ce l’ha tuttora. Il “ventre molle” del modello economico che sostiene il Dollar Standard è quindi l’Europa, che non reggerebbe uno scenario giapponese. Tuttavia anche il Giappone ha iniziato ad evidenziare che il sistema scricchiola e le recenti notizie politiche di cedimento del partito di governo lo confermano. Il principale problema connesso alla “soppressione del ciclo” è che, mentre una recessione e la crisi conseguente ti impone di fare delle riforme strutturali per poi ripartire, con la “costruzione di un soft landing” cerchi di perseguire l’obiettivo di non cambiare nulla e mantenere lo status quo. Il problema di fondo è che questo status quo si basa su una insostenibile distribuzione dei profitti e un costante bail out necessario a mantenerlo, bail out che va prevalentemente al settore finanziario e profitti che vanno al monopolio tecnologico. Non è lontano il momento in cui sarà necessario modificare tale distribuzione perché il sistema non la può reggere. Il problema è che a quel punto l’intera impalcatura su cui oggi è appoggiato il sistema finanziario americano sarà sottoposta ad uno spiacevole e significativo reset. Gli analisti che vedono l’indice SPX a 2500 si basano probabilmente su tale ipotesi. Le politiche fiscali e monetarie possono ritardare gli eventi ma la loro efficacia si riduce progressivamente per i motivi che ho indicato. Il reset può avvenire da eventi top down (scoppio delle bolle finanziarie) o da eventi bottom up (instabilità sociale). Il problema è che tali eventi sono tra loro interconnessi e uno non esclude l’altro.