Curvapiattisti

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Quando il governatore della Fed Powell, nel corso della consueta conferenza stampa post riunione del 16 giu­gno, ha parlato del rischio di “inflazione più alta e persi­stente di quanto previsto in precedenza”, francamente in pochi avrebbero previsto la reazione poi osservata sulla parte medio-lunga della curva americana.

Se infatti le scadenze brevi hanno accennato ad un mo­vimento al rialzo, con il 2 anni che ha abbandonato l’in­tervallo di 0/0,1%, all’interno del quale aveva stazionato ininterrottamente per il precedente anno e mezzo, quel che è risultata meno prevedibile è invece la reazione del decennale, e ancor più, del trentennale, i cui rendimenti hanno continuato a comprimersi nell’ultimo mese. Ciò è avvenuto a dispetto delle dichiarazioni di Powell e Bullard, delle minute della Fed, e infine di dati d’inflazio­ne particolarmente vigorosi. A quest’ultimo proposito, a nulla sono valsi neanche i numeri pubblicati il 13 luglio, che sembrano segnalare una viscosità anche nell’infla­zione “core” (che esclude energia e generi alimentari), attestatasi al 4,5%.

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L’interpretazione a posteriori di questo appiattimento della curva, imitato peraltro anche dai governativi euro­pei, suona più o meno così: dati di crescita dei prezzi elevati e non transitori, tollerati dalla Fed per il momen­to, apriranno la strada a politiche monetarie restrittive anche potenzialmente energiche, il cui risultato finale avrà impatti considerevoli sui fondamentali dell’econo­mia globale, minando le aspettative sull’inflazione stes­sa nel medio-lungo periodo. L’azionario per il momento racconta una storia parzialmente diversa e sembra “vivere alla giornata”, beneficiando nel suo complesso dell’effetto di tassi di lungo periodo più bassi, spin­gendo al rialzo i titoli quality growth e penalizzando i comparti più ciclici.

È estremamente importante ragionare su questa “dissonanza”, perché in diversi casi l’obbligazionario ha individuato correttamente trend di rallentamento, solo in un secondo momento riflessi nelle valutazioni azionarie.

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Nella realtà però, la decrittazione dei movimenti obbli­gazionari difficilmente può aderire ad un unico teorema. A rendere più increspato il quadro contribuisce ad esempio il posizionamento degli operatori che, soprat­tutto in questa fase, sta giocando un ruolo importante. Il mercato, almeno a giudicare dalle posizioni sui future del decennale treasury, dopo aver toccato un massimo storico di posizioni corte nel novembre scorso, è tornato neutrale solo di recente (fonte CFTC). Come spesso ac­cade, il fatto che lo short sul treasury fosse un “crowded trade”, lo ha reso vulnerabile a ricoperture e quindi a movimenti nell’opposta direzione. A questo punto cosa è lecito attendersi? Nonostante il riflesso condizionato recente, che a dati di inflazione in aumento ha fatto cor­rispondere nuovi minimi del tasso decennale, riteniamo che i fondamentali economici attuali siano scarsamente coerenti con un livello all’1,3% e che, una volta rientrati gli eccessi tecnici di posizionamento, possano tornare a prevalere. Confermiamo dunque un approccio difensivo al rischio tasso, sulla curva statunitense e anche su quella europea, in considerazione di dati che, seppur meno roboanti ultimamente, continuano a confermare la buona tenuta del ciclo economico e la conseguente, graduale, uscita dalle misure straordinarie messe in campo dalle Autorità monetarie e fiscali.