Profitti a rischio per l’industria del cemento

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Secondo un report di Cdp le imprese del settore devono rivedere urgentemente le loro strategie di riduzione delle emissioni

Il settore del cemento, da solo, produce più emissioni di paesi come il Giappone e il Canada: il 5% delle emissioni globali. E dopo gli accordi presi alla Cop21 di Parigi, che fissano un obiettivo di “emissioni zero” per il 2020, sono uno dei settori che rischiano di più di vedere diminuire i loro profitti.

A dirlo è un report pubblicato da Cdp sull’industria cementifera mondiale, secondo il quale le due big italiane del settore, Cementir e Italcementi, sono tra quelle che, finora, hanno avuto i risultati meno soddisfacenti. Nella classifica delle 12 maggiori imprese mondiali, occupano rispettivamente l’11° e il 12° posto, e non molto meglio si piazza Buzzi Unicem, l’altra azienda italiana, al nono posto.

Se fosse adottato un “carbon pricing” (ovvero una tassazione delle emissioni di Co2) a 8,7 euro, afferma il report, le 12 principali imprese cementifere, potrebbero vedere i loro profitti ridursi fino a 4,5 miliardi di euro, e le imprese meno performanti sarebbero esposte fino al 114% dell’Ebit.

L’industria del cemento deve rivedere urgentemente le proprie strategie in materia di riduzione delle emissioni, con innovazioni nei prodotti, nei processi, nelle tecnologie e nello stesso business model se vuole raggiungere gli obiettivi di Parigi.

“Poiché le misure che regolano la Co2 si irrigidiscono e il prezzo del carbone resta fluttuante, gli investitori si aspettano di vedere cambiamenti rapidi e strategici da parte delle industrie, fra cui un miglior utilizzo delle risorse disponibili e investimenti di lungo periodo”, commenta Tarek Soliman, senior analyst di Cdp.

Incrementare l’utilizzo di fonti energetiche alternative, attuare misure per migliorare l’efficienza energetica e utilizzare materiali sostitutivi, a basso consumo di Co2, su più larga scala sono alcune delle raccomandazioni del rapporto alle industrie del settore.

Che, aggiunge Cdp, sono anche fortemente esposte al rischio idrico: più del 50% degli stabilimenti è attualmente collocato in aree a rischio idrico, e la scarsità di acqua è un potenziale allarme da tenere sotto controllo.