Calo dei buy back: quale impatto sull’azionario USA?

Olivier De Berranger -
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Un grande perdente, che aveva però incontrato il favore degli investitori fino all’autunno, sembra ora profilarsi al termine di due mesi in cui è cresciuta la volatilità.

I grandi indici hanno sofferto nel periodo compreso tra il 20 settembre e il 20 novembre: -9,6% per l’MSCI World, -7,5% per l’MSCI Europe e -13,6% per il NASDAQ in valute locali. I giganti della tecnologia sono addirittura messi peggio: APPLE perde il 19,3%, FACEBOOK -20,2% e AMAZON -23,1%. Semplice rotazione di stile sul mercato che sta finalmente prendendo le distanze dagli asset più costosi per tornare a posizionarsi su quelli maggiormente value? La risposta, in un certo modo, è positiva, anche se dimostra la fragilità di un mercato americano il cui rialzo degli ultimi anni è in parte legato a un fenomeno cui hanno ampiamento contribuito le aziende tecnologiche: i buyback azionari.

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Nel corso degli ultimi quattro anni sono le aziende americane ad aver principalmente comperato azioni americane! Infatti, durante lo stesso periodo gli investitori stranieri ne hanno comperato complessivamente quasi due volte meno. I buyback azionari, marginali in Europa, sono molto diffusi sul mercato americano e non costituiscono un segnale negativo. In un paese in cui i dividendi sono meno elevati (2,1% per l’S&P 500, 4% per l’MSCI Europe), offrono agli azionisti una remunerazione aggiuntiva che può, tra l’altro, essere reinvestita e alimentare in questo modo il dinamismo dell’economia.

Tuttavia, alcune domande scaturiscono dal trend degli ultimi anni. Storicamente, le fasi che coniugano una riduzione degli investimenti nelle aziende con un aumento del loro indebitamento corrispondono a un periodo di crisi. Eppure, tra il 2014 e il 2016, lo stesso fenomeno si è manifestato in momenti di crescita economica, particolarmente favorevole ai buyback. Anche se il rapporto tra i due elementi non è completamente lineare, è pur certo che le aziende americane si sono parzialmente indebitate per finanziare l’acquisto delle loro azioni. Queste operazioni sono scemate dopo il 2016 prima di tornare ad acquisire maggior vigore nel 2018 visto il rimpatrio di capitali all’estero consentito dalla riforma fiscale di Donald Trump.

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Poiché il meccanismo è destinato a finire entro fine anno, le aziende non potranno più beneficiarne per finanziare i programmi di buyback. Del resto, in termini di percentuale del valore aggiunto, il loro indebitamento ha raggiunto dei livelli record in 20 anni: è quindi difficile indebitarsi ulteriormente, a maggior ragione in un contesto di rialzo dei tassi in grado di creare una bolla sul credito che si rivelerebbe disastrosa qualora l’economia rallentasse. I buyback rischiano quindi di diminuire fortemente l’anno prossimo. Anche se nonostante il recente storno le valorizzazioni del mercato americano continuano a essere molto elevate, perdere un acquirente principale non costituisce di certo una buona notizia.


Olivier De Berranger – Chief Investment Officer – La Financière de l’Echiquier