Divergenza tra USA e resto del mondo? Entro un anno si invertirà

Francis A. Scotland -
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Con le elezioni di mid-term i Democratici hanno superato i Repubblicani nella Camera dei Deputati USA, ristabilendo quella situazione di stallo per cui il sistema politico americano è stato appositamente disegnato.

La struttura organizzativa del governo americano è stata infatti concepita per limitare la possibilità che ciascuno dei tre rami possa decidere cambiamenti radicali senza un supporto bipartisan. Ciò significa che ora – almeno per i prossimi due anni – la capacità dell’Esecutivo di andare avanti col suo programma di stimolo dell’offerta risulterà limitata, se non del tutto bloccata.

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Alcuni parlano di un supporto bipartisan per determinati investimenti infrastrutturali, ma è difficile credere che i senatori repubblicani più tradizionalisti non abbiano già la nausea per l’allargarsi del ruolo del governo e l’aumento del debito pubblico e del deficit. Sarebbe sorprendente se i senatori repubblicani approvassero nuovi ingenti piani di spesa pubblica proposti dalla Camera a guida democratica, senza richiedere una compensazione in altre aree.

La buona notizia per gli investitori è che lo stallo a Capitol Hill potrebbe aiutare a risolvere l’attuale confusione della Federal Reserve… giusto in tempo.

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Qualche settimana fa il presidente della Fed, Powell, ha espresso un cambio di direzione radicale, dicendo che i tassi “sono a questo punto ben lontani dall’essere neutrali”. Di fatto, questa dichiarazione ha aperto la strada alla volatilità che ha caratterizzato lo scorso ottobre. L’atteggiamento così ‘falco’ ha colto i mercati in contropiede, perché Powell, poche settimane prima (durante il meeting del FOMC di settembre) aveva dato l’impressione che il livello neutrale fosse molto più vicino.

Powell non è un economista, ne è legato ad una particolare scuola di pensiero economico. È un pragmatista, il che probabilmente spiega la sua sterzata sui tassi. Gli ultimi dati economici, che parlavano di un PIL più solido e di salari in aumento, hanno rafforzato la sua convinzione che i tassi siano troppo bassi rispetto alla crescita e debbano essere rialzati più di quanto la Fed prevedeva.

Un altro fattore che può aver influenzato Powell è il trend rialzista di quest’anno dei rendimenti obbligazionari. Negli ultimi 10 anni, i rendimenti dei bond sono scesi ad ogni minimo segnale di cedimento dell’azionario. Può darsi allora che la Fed veda in questo cambiamento nella correlazione dei mercati un altro segnale che l’epoca dei tassi di interesse molto bassi sia finita, e dunque sia giunto il momento di una più rapida normalizzazione della policy monetaria. L’ultima parola in tutto ciò l’avranno la sostenibilità dell’impennata della crescita USA e il rischio inflazione. Storicamente, è sempre stato arduo per la banca centrale individuare il corretto livello dei tassi di interesse, ma questa volta la Fed si sta rendendo la vita difficile riducendo allo stesso tempo il suo bilancio.

In molti concordano che l’era dei tassi di interesse minimi a livello globale stia per finire. La questione più ardua è quanto velocemente i tassi globali si normalizzeranno. Ci sono molte ragioni per ritenere che la normalizzazione dovrà richiedere tempi lunghi, forse anni. Ma negli USA il programma di taglio delle tasse di Trump ha complicato le cose, facendo impennare la crescita del Pil americano, e spingendo la Fed ad accelerare la normalizzazione.

In questo momento l’economia globale sta accusando la pressione del restringimento messo in atto dalla Fed: la liquidità in dollari USA comincia infatti ad essere più scarsa e costosa. La crescita rallenta quasi ovunque, eccetto negli Stati Uniti. Questa divergenza tra l’andamento della crescita USA e il resto del mondo – Cina in particolare – è forse l’aspetto che più colpisce dell’attuale quadro macro. La Fed alza i tassi, la Cina li taglia. Finora Powell ha fatto spallucce, liquidando il rallentamento globale come poco importante o comunque non affar suo. Ma la sorpresa potrebbe essere che entro un anno gli USA e l’economia globale avranno invertito le loro rispettive posizioni.

L’economia USA infatti non è un’isola: i mercati dei capitali reagiscono alle divergenze e il contraccolpo dall’economia globale sta arrivando. In ottobre il mercato azionario USA si è infine accodato al sell off che era in corso nel resto del mondo. L’arretramento dello stock-to-bond ratio sembra indicare l’inizio di una discesa dell’indice ISM manifatturiero, che è un indice anticipatore della crescita del PIL. L’inflazione domestica potrebbe sorprendere al ribasso, schiacciata da un dollaro forte e da prezzi delle materie prime e dell’energia in calo. L’indice CRB Raw Industrials è crollato quasi del 10% quest’anno, e spesso ciò segnala il picco dei profitti. La Fed raramente ha alzato i tassi – e di certo non ha mai ridotto il suo bilancio – in una fase di contrazione di questo indice, ma quest’anno sta facendo entrambe le cose.

Si sono create divergenze tanto a livello domestico che globale. L’edilizia abitativa è il più importante punto di collegamento tra i trend dei tassi di interesse e l’economia reale, e l’attività in questo settore si è arrestata nonostante un aumento della domanda. Le nuove vendite di abitazioni sono crollate del 13% dall’anno scorso e il tasso di crescita delle vendite pendenti è negativo da inizio 2017. L’andamento delle vendite di auto negli USA è piatto da fine 2015, quando la Fed ha cominciato ad alzare i tassi. La crescita del prezzo della benzina e del petrolio è un altro fardello sul potere di acquisto, e persino gli investimenti fissi delle aziende stano iniziando rallentare, ora che si affievolisce l’effetto iniziale del taglio delle tasse.

Tutto ciò ci suggerisce che, con buona probabilità, gli USA e l’economia globale potrebbero scambiarsi di posto l’anno prossimo. Lo stallo nel Congresso significa che difficilmente il governo USA potrà reagire ad una crescita domestica inferiore con nuove misure di stimolo. Perciò un rallentamento della crescita USA dovrebbe far tornare la Fed sui suoi passi, innanzitutto nel senso di una normalizzazione più graduale, e forse con un cambio di rotta anche sulla riduzione del suo bilancio. Con lo stimolo cinese ancora in corso, qualsiasi alleggerimento nel costo o nella carenza della liquidità in dollari darebbe un forte impulso alla crescita globale. E se i presidenti Trump e Xi finiranno soltanto per darsi un abbraccio e far finta di andare d’accordo nel G20 di Buenos Aires, l’eventualità di un’inversione di ruoli tra USA ed economia globale potrebbe diventare una certezza.


Francis Scotland – Director of Global Macro Research – Brandywine Global (gruppo Legg Mason)