T. Rowe Price: elezioni USA di Midterm, i fondamentali contano più della politica

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Nel contesto politico e di mercato volatile che ha caratterizzato l’attesa per le lezioni di midterm del Congresso statunitense, molti investitori si sono chiesti se il risultato avrebbe influenzato l’economia e i mercati finanziari.

Ora che i Democratici hanno riguadagnato la maggioranza alla Camera dei rappresentanti per la prima volta dal voto di midterm del 2010 e i Repubblicani hanno mantenuto il controllo del Senato, la risposta al quesito è diventata più chiara?

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T. Rowe Price mette in guarda dal prendere decisioni di investimento sulla base di risultati elettorali, e si focalizza piuttosto sugli aspetti più fondamentali che generalmente determinano le performance del mercato. Inoltre, T. Rowe Price non si aspetta che l’esito elettorale abbia un impatto significativo sui mercati statunitensi o sull’economia.

I trend in termini di crescita globale, tassi di interesse, inflazione, utili societari e prezzi del petrolio – sommati al crescente protezionismo e alle tensioni geopolitiche – sono tra gli sviluppi che probabilmente avranno un peso maggiore rispetto ai recenti cambiamenti nel Congresso. Non a caso, i mercati quest’anno sono stati guidati da questi fattori più che da ogni aspettativa di natura politica.

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“Potrebbe essere allettante per gli investitori cercare di legare i risultati elettorali a degli outcome di mercato, ma non esiste una relazione consistente tra il partito in carica e il successo di lungo termine degli investimenti”, osserva Eric Veiel, Co-Head Global Equities, T. Rowe Price.
David Giroux, Head of Investment Strategy, T. Rowe Price, aggiunge che le elezioni di midterm 2018 “probabilmente non diventeranno un evento market-mover. Probabilmente permarrà uno stallo fino al 2020, quindi non mi aspetto che venga approvata alcuna legislazione di peso nei prossimi due anni. Gli investitori dovrebbero prestare maggiore attenzione a ciò che i tassi di interesse implicano per le valutazioni azionari, l’inflazione e i margini di profitto societari”, prosegue l’esperto, precisando che “Inoltre quest’anno abbiamo avuto una crescita molto solida, quindi la portata del rallentamento dell’economia è una tra le considerazioni principali. Tra l’altro, il 2018 è stato un anno positivo per la crescita degli utili, che probabilmente saliranno di circa il 20%. Nel 2019, gli aumenti degli utili saranno a cifra singola. L’altro fattore importante su cui focalizzarsi è la guerra commerciale con la Cina e le implicazioni più generali che essa comporta per gli Stati Uniti e per l’economia globale”.

La politica monetaria e fiscale dovrebbe rimanere sulla buona strada

Alan Levenson, Capo Economista per gli USA, T. Rowe Price, non ha modificato le proprie previsioni. La Federal Reserve continuerà a perseguire la normalizzazione dei tassi d’interesse, probabilmente con un nuovo rialzo a dicembre, e altri tre o quattro l’anno prossimo. “La Fed è un’istituzione indipendente e proseguirà sulla propria strada, a prescindere dalle elezioni. La politica monetaria, nei prossimi 15 mesi, continuerà ad avere luogo indipendentemente dalla composizione del Congresso”, spiega.

Anche la politica fiscale è probabile che rimanga stabile. “Non vedremo grandi stimoli fiscali, come tagli alle tasse o enormi incrementi della spesa, perché quello che è stato fatto finora ha già creato un buco significativo nel bilancio, e l’economia è ancora solida”, afferma l’economista. “Quindi, non mi aspetto che i contorni della politica fiscale cambino molto per via delle elezioni”. Secondo le previsioni di Levenson, l’economia crescerà tra il 3% e il 3,25% nel 2018, rallentando a circa il 2,5% nel 2019, in virtù dei rialzi dei tassi da parte della Fed e dello stimolo fiscale che si ridurrà significativamente l’anno prossimo. Levenson lancia anche un avvertimento contro le aspettative di restrizioni sulle politiche normative e commerciali del presidente Trump. “L’autorità sulla politica commerciale e regolamentare spetta all’organo esecutivo”.

Un bilancio storico incoraggiante

Una volta fatte queste precisazioni, cosa ci dicono i dati storici relativi alle elezioni di metà mandato? Il partito del Presidente in carica perde solitamente alcuni seggi al Congresso nelle midterm, in particolare alla Camera, ma il mercato azionario ha di norma registrato buone performance l’anno successivo. Storicamente, il terzo anno di mandato di un Presidente (l’anno successivo alle elezioni di metà mandato, quindi) si è rivelato l’anno migliore per l’andamento del mercato statunitense nel ciclo quadriennale di presidenza.

Per i 17 anni di elezioni di metà mandato tra il 1950 il 2014, l’S&P 500 ha guadagnato in media il 10,7%, con solo cinque anni di performance negative in questo periodo storico. Per lo stesso arco temporale, nell’anno successivo alle elezioni midterm, il mercato ha guadagnato in media il 19,9%, e l’S&P 500 non ha registrato flessioni in nessuno di quegli anni. Dal 31 dicembre 1949 al 31 dicembre 2015, l’S&P 500 ha registrato un rendimento medio annuo dell’11,2%. Nemmeno le turbolenze politiche hanno portato a sconvolgimenti sul mercato. Alle elezioni di metà mandato del 1954, 1994 e 2006, il partito del Presidente in carica ha perso la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Nell’anno successivo a queste midterm, l’indice S&P 500 ha guadagnato rispettivamente il 31,5%, il 37,4% e il 5,5%. Alle elezioni di metà mandato del 1994, durante il primo incarico del presidente Clinton, il partito democratico ha perso 52 seggi in Parlamento e 8 al Senato, ma l’anno successivo il mercato ha guadagnato più del 37%. Nelle elezioni midterm del 2010, durante il primo mandato del presidente Obama, il Partito Democratico ha perso 63 seggi al Parlamento e 6 al Senato, creando una spaccatura nel Congresso. L’anno successivo, il mercato ha guadagnato il 2%.

Maggiori cambiamenti potrebbero arrivare nel 2020

David Giroux non consiglierebbe agli investitori di adottare cambiamenti nel portafoglio in base all’outcome delle elezioni di metà mandato del 2018, ma afferma che non è “mai troppo presto” per iniziare a considerare l’impatto delle elezioni presidenziali del 2020.

“Andando verso il 2020, gli investitori dovrebbero essere più reticenti nei confronti della possibilità di un cambiamento dell’amministrazione e di ciò che ciò potrebbe significare per i mercati, per l’economia, l’health care, l’energia, la difesa e le attività di M&A”, precisa. “Abbiamo avuto un’Amministrazione molto pro-business, anti-regolamentazione e di tagli fiscali, che si è rivelata molto positiva per il mercato azionario. Alcuni direbbero che questo è il motivo per cui quest’anno abbiamo assistito a una crescita economica e salariale così forte. Se si dovesse verificare un cambiamento di regime, ciò potrebbe invertire alcune di queste politiche e avere un effetto a catena sull’economia e sul mercato azionario. Il mercato è lungimirante, quindi, pensando al 2019 e al 2020, questa possibilità diventerà un elemento da considerare”.

Tuttavia, la cautela è giustificata e gli investitori non dovrebbero arrivare rapidamente alla conclusione che – nel più lungo periodo – un’Amministrazione democratica sarebbe negativa per i titoli azionari. Infatti, se valutati su un intero mandato presidenziale nel corso degli ultimi 100 anni, i rendimenti dei titoli azionari statunitensi – pur subendo notevoli variazioni nei quattro anni – sono stati generalmente positivi. Ancora una volta, la maggior parte degli operatori concorda sul fatto che siano subentrati fattori esogeni al controllo di qualsiasi individuo della Casa Bianca. “Gli investitori non dovrebbero lasciare che il contesto politico pesi troppo sulla propria strategia d’investimento perché i titoli azionari hanno registrato buone performance durante gran parte dei mandati presidenziali, o su periodi di tempo più lunghi”, sottolinea Larry Puglia, gestore del fondo T. Rowe Price US Large?Cap Core Growth Equity, T. Rowe Price.

La volatilità potrebbe risultare più prevedibile della direzione del mercato

Sebbene il risultato delle elezioni non dovrebbe avere un impatto significativo sull’andamento dei mercati, il nuovo Congresso prenderà probabilmente in considerazione questioni controverse che potrebbero dar luogo a una certa volatilità. Tra questi temi caldi:

  • Una seconda importante proposta di riforma fiscale da parte dell’amministrazione Trump, che potrebbe innescare una maggiore crescita, un deficit più significativo e aspettative di inflazione più elevate;
  • Gli sforzi per porre limiti ai prezzi dei farmaci o un altro tentativo da parte dei Repubblicani per sostituire l’Affordable Care Act, che potrebbe produrre effetti, rispettivamente, sui titoli azionari di provider medici o farmaceutici
  • L’impegno per alzare il salario minimo, che potrebbe suscitare preoccupazioni in materia di inflazione;
  • Il dibattito sul controllo dell’immigrazione, che potrebbe porre la minaccia di una crescita più lenta e di un aumento dei livelli d’inflazione;
  • Potenziali aumenti nella spesa per il settore della difesa, che potrebbero stimolare la crescita complessiva e, in particolare, i titoli legati a questo comparto;

Questi dibattitti di carattere legislativo potrebbero rappresentare il rischio principale. Tuttavia, in un contesto politico frammentato, molti osservatori sono scettici sul fatto che il Congresso farà molti progressi su qualsiasi iniziativa di rilievo.