La ripresa dei prezzi del petrolio non è ancora finita

Jean-Baptiste Berthon -
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I prezzi del petrolio hanno subito un ribasso del 40% alla fine del 2018, enfatizzando l’eccesso strutturale di offerta di petrolio:

  • L’Arabia Saudita ha aumentato la produzione qualche settimana prima che gli Stati Uniti concedessero ad otto Paesi una deroga sulle sanzioni in Iran.
  • L’intensificarsi di preoccupazioni – a livello macro – ha ulteriormente ridotto le aspettative sulla domanda.

La ripresa non è ancora conclusa. Ci aspettiamo che i prezzi del Brent ritornino ad una fascia di prezzo che va dai 65 ai 70 dollari al barile

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  • L’OPEC+ (OPEC + Russia) sembra seriamente intenzionata ad una riduzione duratura della produzione.
  • I produttori statunitensi sono stati colti alla sprovvista dalla caduta dei prezzi del petrolio e si stanno indirizzando verso una produzione più moderata, mentre le infrastrutture, ormai sature, potrebbero porre un limite alla produzione petrolifera statunitense.
  • Il rischio di grossi shock si sta dissipando, e la domanda globale di petrolio potrebbe tornare stabile.
  • Le implicazioni geopolitiche sono complesse per quanto riguarda il petrolio, ma la situazione in Venezuela giustifica un lieve premio per il rischio.
  • L’andamento del mercato del petrolio è ragionevolmente favorevole ed il dollaro è vicino al suo picco.

Sul lungo termine, ci aspettiamo che i frequenti cambiamenti nei fondamentali del petrolio offrano delle opportunità tattiche:

  • L’imponente crescita della produzione statunitense implica che i mercati petroliferi sono caratterizzati da un eccesso di offerta strutturale. Non ci aspettiamo che prezzi salgano presto ai livelli del 2018, a meno che non si verifichi un qualche evento geopolitico di grande portata.
  • Il ruolo dominante dell’OPEC è stato indebolito dalla shale revolution. I cambiamenti costanti nella produzione di Paesi OPEC e non OPEC potrebbero di volta in volta aumentare la volatilità del prezzo del petrolio.
  • La volatilità potrebbe essere amplificata a causa della mancanza di visibilità relativamente al livello di equilibrio tra domanda ed offerta.
  • Il perpetrarsi di turbolenze politiche potrebbe destabilizzare i prezzi del petrolio, e ciò potrebbe ripercuotersi sulle divisioni interne all’OPEC, sulla debolezza della partnership tra Paesi OPEC e Paesi non OPEC; a sua volta, questo potrebbe intensificare le tensioni tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Russia.

L’OPEC+ SI STA OCCUPANDO DELL’OFFERTA IN ECCESSO

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Dalla rivoluzione americana dello shale, avvenuta nel 2010, l’OPEC ha perso in parte il suo potere sui prezzi e deve adesso condividere il mercato con gli Stati Uniti e con gli altri produttori. Le produzioni di Paesi OPEC e non OPEC hanno avuto trend simili, al fine di contenere l’eccesso strutturale di offerta di petrolio. Di conseguenza, l’OPEC non può più permettersi di non essere credibile. tentando, allo stesso tempo, di riguadagnare influenza attraverso la collaborazione con Russia e altri Stati non OPEC e di schivare i crescenti tentativi di indebolimento del cartello.
In questo contesto, ci aspettiamo che l’OPEC+ sia davvero intenzionato ad effettuare i tagli alla produzione per 1,2 milioni di barili al giorno (su dati di ottobre) decisi a dicembre, e le stime di produzione di gennaio evidenziano come non ci sia stata alcuna procrastinazione. L’eterogeneità dei tagli ha però messo a dura prova l’unità del gruppo. Le riunioni dell’OPEC di marzo e maggio confermeranno se questi tagli saranno mantenuti nel lungo periodo.

I PRODUTTORI AMERICANI INDICANO UNA PRODUZIONE PIÙ MODERATA

La crescita esponenziale nella produzione statunitense ha largamente contribuito al crollo del -40% dei prezzi del petrolio alla fine del 2018 – una volta che il supporto derivante dai rischi geopolitici ha cominciato a scemare.

Gli ultimi risultati finanziari dei produttori americani suggeriscono che gli investimenti rimarranno moderati (12% degli asset totali vs il 20% in media), data la pressione degli azionisti sulla redditività e i prezzi del petrolio che ancora si aggirano attorno al breakeven. Gli avviamenti e i completamenti degli impianti stanno rallentando – così come i ricavi delle società di servizi di perforazione, mentre lo stock di pozzi perforati ma non completati è in aumento.

Tuttavia, gli sviluppi delle infrastrutture petrolifere statunitensi sono rimasti indietro rispetto agli investimenti sullo shale, con il risultato che i produttori americani hanno difficoltà nel piazzare la loro produzione. Alcuni elementi come il sovraffollamento negli oleodotti e nelle attività di raffinazione e l’entrata in vigore di standard più stringenti in materia di inquinamento per l’industria navale potrebbero portare la produzione di shale statunitense ad essere inferiore rispetto alle aspettative, , almeno nel 2019. Ciò sosterrebbe i prezzi del petrolio e, solo temporaneamente, ridurrebbe lo sconto del WTI vs Brent.

Tuttavia, i produttori statunitensi stanno producendo a soli 59 dollari al barile il greggio WTI, e gli effetti di reverse tape probabilmente si verificherebbero di nuovo una volta dissipato l’eccesso di offerta.

LA DOMANDA DI PETROLIO NON CROLLERÀ

La domanda globale di petrolio ha mostrato un’elasticità maggiore ai cambiamenti macro rispetto ai prezzi del petrolio. È decelerata significativamente alla fine del 2018, trascinata in basso da Europa, Giappone e soprattutto Cina, che deve far fronte sia ad una decelerazione economica domestica sia ad una pressione sull’export a causa dei dazi commerciali imposti dagli Stati Uniti.

Mentre le questioni riguardanti la crescita globale persistono, l’attenuarsi dei rischi di eventi estremi dovrebbe stabilizzare ancora di più la domanda. Le misure espansive cinesi ed i miglioramenti sul fronte della guerra commerciale dovrebbero inoltre portare ad un aumento della domanda cinese nel secondo semestre. Le stime del PIL mondiale per il 2019 si attestano al 3,5%, un dato che è storicamente compatibile con un tasso di crescita dell’1,5% nella domanda di petrolio.

LA GEOPOLITICA RITORNA ETEREOGENEAMENTE NELL’EQUAZIONE

La situazione in Venezuela è ora considerata il rischio principale per il settore petrolifero. Un periodo prolungato d’incertezza metterebbe a rischio altri 0,5-1 milioni di barili al giorno di produzione e giustificherebbe un premio extra per il rischio.

Date le incertezze in Venezuela, gli Stati Uniti potrebbero decidere di estendere le deroghe alle importazioni di greggio iraniano a diversi Paesi (le deroghe finirebbero a maggio), abbassando ulteriormente la percezione dei rischi iraniani per i prezzi del petrolio.

La Libia rimane molto instabile, con tre fazioni che puntano a controllare i principali bacini petroliferi. Il rischio è ancora alto, con un potenziale di 0,7 milioni di barili al giorno in gioco.

Infine, ci aspettiamo che le complesse relazioni tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Russia causeranno qualche problema. Qualsiasi minaccia di sanzioni statunitensi potrebbe pesare sul prezzo del petrolio in entrambi le direzioni.

MODELLI DI MERCATO RAGIONEVOLMENTE FAVOREVOLI

Gli investitori istituzionali principali continuano a sottopesare leggermente questa asset class, fornendo così un potenziale supporto per il futuro. Il sentimento rialzista si sta normalizzando ed i dettagli tecnici rimangono modestamente favorevoli. Il pricing dei settori e dei Paesi sensibili all’andamento del petrolio è inoltre coerente con un regime del prezzo del petrolio leggermente più alto.
Infine, secondo la nostra visione, si stanno creando le condizioni per un picco del dollaro nei mesi a venire. Il suo status di valuta rifugio potrebbe svanire, così come la leadership monetaria ed economica degli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo. I flussi esteri negli asset in dollari potrebbero ridursi nel momento in cui il deficit cominci ad avere più importanza così come le posizioni lunghe sul dollaro. I prezzi del petrolio potrebbero beneficiare di un picco del dollaro.

Jean-Baptiste Berthon – Senior Cross-Asset Strategist – Lyxor Asset Management