Azionario, quali mercati sono ancora a buon mercato?

Duncan Lamont -
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Gli investitori che sono stati abbastanza coraggiosi da combattere l’impulso emotivo di vendere nel corso della carneficina sui mercati con cui si è concluso il 2018 sono stati lautamente ricompensati nei primi mesi del 2019.

Tra i cinque mercati azionari che analizziamo regolarmente – Regno Unito, USA, Europa, Giappone e Mercati Emergenti – anche il peggiore del gruppo, il Giappone, ha offerto un rendimento di quasi l’8% dall’inizio dell’anno (al 12 aprile).

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Gli Stati Uniti hanno avuto la performance migliore, con un rialzo del 13,9%, che rispecchia quasi perfettamente il calo del 13,7% nel quarto trimestre del 2018. Tuttavia, è utile ricordarsi che, per via del compounding dei rendimenti da un periodo all’altro, un determinato rialzo non è sufficiente a contrastare una perdita precedente dello stesso valore percentuale: infatti, il rendimento complessivo dell’azionario USA nei sei mesi che comprendono l’ultimo trimestre 2018 e il primo trimestre 2019 è di -1,7%. Il Regno Unito, l’Europa e i Mercati Emergenti hanno tutti registrato un rialzo vicino al 10% quest’anno.

Le valutazioni sono uno degli indicatori più importanti dei rendimenti a lungo termine. Se si compra quando i titoli sono ‘a buon mercato’, le probabilità sono a favore degli investitori. Se invece si compra quando i titoli sono costosi, anche se non per forza si soffriranno delle perdite, sarà necessaria una congiuntura favorevole di un numero maggiore di fattori affinché l’investimento vada a buon fine.

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A gennaio che la combinazione di una crescita solida degli utili e del calo dei mercati aveva portato l’azionario in ogni parte del mondo sui valori vicini ai minimi degli ultimi anni. Sebbene i rischi a breve termine fossero elevati, le prospettive a lungo termine erano significativamente migliorate.

Sebbene le valutazioni siano solitamente un indicatore poco affidabile della performance a breve termine, i mercati hanno avuto un evidente rialzo rispetto a quel punto di minimo. Tuttavia, la solida performance della prima parte del 2019 significa che i rendimenti attesi nel medio-lungo termine sono già stati ottenuti in appena tre mesi.

Ciò riduce le prospettive di guadagno future e il quadro delle valutazioni ora si è molto indebolito. Alcuni semplici modelli basati sui dividendi o sugli utili suggeriscono che i rendimenti attesi a lungo termine sono inferiori dello 0,3-0,4% rispetto all’inizio dell’anno in tutti i mercati azionari.

Tuttavia, è opportuno fare delle distinzioni. Se si escludono gli USA, la maggior parte degli indicatori di valutazione (rapporto prezzo/utili forward e trailing, rapporto prezzo/valore contabile e dividend yield) sono abbastanza vicini alle medie storiche, con l’eccezione del CAPE, il rapporto prezzo/utili corretto per il ciclo. Si tratta di un campanello di allarme ma non di un aspetto così preoccupante da perderci il sonno.

Ovviamente, potrebbero verificarsi delle performance negative – una ripresa dei rialzi dei tassi negli USA sarebbe un possibile driver – ma è improbabile che le valutazioni siano l’origine del problema.

Gli Stati Uniti invece continuano ad essere in bilico. Tuttavia, scommettere contro l’azionario USA è da anni un’impresa folle e agli investitori conviene mantenere un’esposizione bilanciata all’equity globale.


Duncan Lamont – Head of Research and Analytics – Schroders